L'evangelizzatore d'Europa

Matteo Matzuzzi

E’ bene che l’Europa si renda conto al più presto che “quella che sta attraversando è una crisi di civiltà in cui la tentazione di mettere in secondo piano la persona è sempre più forte”. Il 9 maggio del 2012 il cardinale ungherese Péter Erdö, arcivescovo di Esztegorom-Budapest, pronunciava queste parole in occasione della Messa per l’Europa celebrata nella basilica romana di Santa Maria Maggiore. Il Vecchio continente in declino torna sempre nelle riflessioni di questo mite porporato sessantenne formatosi assieme a Christoph Schönborn alla scuola della rivista teologica di Hans Urs von Balthasar e Joseph Ratzinger, Communio.

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    E’ bene che l’Europa si renda conto al più presto che “quella che sta attraversando è una crisi di civiltà in cui la tentazione di mettere in secondo piano la persona è sempre più forte”. Il 9 maggio del 2012 il cardinale ungherese Péter Erdö, arcivescovo di Esztegorom-Budapest, pronunciava queste parole in occasione della Messa per l’Europa celebrata nella basilica romana di Santa Maria Maggiore. Il Vecchio continente in declino torna sempre nelle riflessioni di questo mite porporato sessantenne formatosi assieme a Christoph Schönborn alla scuola della rivista teologica di Hans Urs von Balthasar e Joseph Ratzinger, Communio. Al sinodo sulla Nuova evangelizzazione tenuto a Roma lo scorso ottobre, Erdö – che dall’ottobre del 2006 presiede il Consiglio delle conferenze episcopali europee – presentò un rapporto in cui si sosteneva che il continente è minato da tre gravi mali: l’invecchiamento della popolazione e il progressivo calo demografico, la crisi economica e l’indebolimento dell’identità culturale e religiosa.

    E’ quest’ultimo il punto centrale, secondo Erdö: l’Europa – che ancora possiede una “bellezza specifica genuinamente cristiana” che trae origine dal suo retaggio culturale, artistico e architettonico – potrà salvarsi solo se avrà la forza e la capacità di riscoprire le sue radici, quella “ricchezza spirituale che la fede cristiana può legare e rafforzare”. Il destino del continente è nelle mani degli europei. “Il bisogno di credere è molto forte, e questa necessità la si riscontra soprattutto nei contesti di disperazione”. C’è, in Europa, un’esigenza di spiritualità che si può individuare perfino nella superstizione, chiarì Erdö. Si va ancora alla ricerca della fede. Ecco perché la nuova evangelizzazione del continente, che Benedetto XVI pose tra i punti cardine del suo pontificato, è necessaria. Serve riempire “quell’enorme vuoto che si è venuto a creare in molti paesi dalla tradizione cristiana, dove l’etica laica non sa dare risposte convincenti.

    Il problema è che oggi “i mass media presentano questa fede, sempre più ignorata e incompresa,  in modo sbagliato, disinformando i credenti sulla realtà vera della chiesa”. Concetti e frasi che sarebbero state ripetute, quattro mesi dopo, da Benedetto XVI durante l’incontro con il clero di Roma, lo scorso 14 febbraio, tre giorni dopo l’annuncio della rinuncia al Soglio di Pietro. Si riferiva all’interpretazione data dagli operatori dell’informazione al Concilio Vaticano II, Papa Ratzinger, quando disse che “il Concilio immediatamente arrivato al popolo è stato quello dei media, non quello dei Padri. E mentre il Concilio dei Padri si realizzava all’interno della fede, il Concilio dei giornalisti si è realizzato fuori dalla fede, con un’ermeneutica diversa, politica: per i media il Concilio era una lotta politica, una lotta di potere tra diverse correnti della chiesa”.

    Pastore dalla salda formazione teologica  (è stato anche professore dal 1988 al 2002 alla Pontificia Università Gregoriana) e profondo conoscitore di diritto canonico (dottorato nel 1980 all’Institutum Utriusque Iuris della Pontificia Università Lateranense), Erdö è apprezzato anche in curia. E’ lui che la segreteria di stato ha inviato a fine 2011 a Lima, in Perù, per ricomporre la frattura tra il Vaticano e l’allora Pontificia Università Cattolica di Lima, i cui vertici si rifiutavano di adeguare lo statuto alle norme imposte da Roma e (soprattutto) di sottomettersi all’autorità dell’arcivescovo Juan Luis Cipriani Thorne, che dell’Università è il Gran cancelliere. La visita apostolica non ebbe successo, ma quella missione contribuì a rafforzare la posizione del primate d’Ungheria nell’ottica della successione a Joseph Ratzinger. Del timido professore tedesco diventato Pontefice quasi otto anni fa sembra essere l’erede naturale.

    Con Benedetto XVI condivide anche la ricerca di un dialogo con le chiese ortodosse dell’Europa orientale per fare fronte comune “su vari aspetti relativi all’evangelizzazione”, fermo restando che “una visione completamente comune su questo tema non è possibile finché manca la piena comunione”. Troppe le differenze che separano ancora Roma da Mosca, in modo particolare sul terreno teologico. Eppure, “su temi come la famiglia, i rapporti tra l’autorità statale e la chiesa e il modo più adatto per affrontare la crisi economica, una convergenza è possibile e auspicabile”. L’unità delle chiese cristiane è la meta finale, come disse dieci anni fa entrando da arcivescovo a Budapest. Anche perché l’Europa è un continente che deve prepararsi ad “affrontare una nuova e forte ondata migratoria, diversa dalle precedenti”. Questa volta, a cercare rifugio nel “più secolarizzato dei continenti”, saranno “i cristiani in fuga dalle persecuzioni in atto nel sud del mondo”.

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    • Matteo Matzuzzi
    • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.