Il buono e il cattivo

La scommessa vinta di Andreazzoli e quella persa di Malesani

Sandro Bocchio

A Roma sono sempre andati per le spicce con le eresie. Un tempo si accendeva un falò, oggi basta far metaforicamente rotolare teste. La passata stagione si attese la conclusione del campionato per sacrificare Luis Enrique, dopo lungo patire. Questa volta si è preferito anticipare i tempi, per non trascinarsi ulteriormente nella guerra per bande assecondata dalla gestione integralista di Zdenek Zeman. E tre partite sono state sufficienti a Maurizio Zamparini per l'ennesimo giro di valzer: un calcio nel sedere ad Alberto Malesani e precipitosa richiamata alle armi di Gian Piero Gasperini, nel tentativo di fermare la picchiata in cui si è imballato il Palermo.

    A Roma sono sempre andati per le spicce con le eresie. Un tempo si accendeva un falò, oggi basta far metaforicamente rotolare teste. La passata stagione si attese la conclusione del campionato per sacrificare Luis Enrique, dopo lungo patire. Questa volta si è preferito anticipare i tempi, per non trascinarsi ulteriormente nella guerra per bande assecondata dalla gestione integralista di Zdenek Zeman. E lo si è fatto pescando in casa, con la decisione di affidare un gruppo riottoso alla concretezza di Aurelio Andreazzoli. Una scelta apparentemente folle, visto si trattava di uno che mai aveva giocato e che da allenatore non si era spinto oltre una serie C1. Ma ogni follia ha un metodo, e quello della dirigenza risiedeva nella consapevolezza di avere tra le mani chi conosceva bene la squadra, a Trigoria fin dal 2005 quando lo chiamò Luciano Spalletti e lì stabile sotto varie gestioni tecniche e societarie, compreso il trapasso dalla famiglia Sensi alla gestione stelle&strisce di James Pallotta. Andreazzoli aveva dalla sua il feeling con i giocatori. E' stato lui a toscanamente sfidare Rodrigo Taddei a provare in partita il dribbling con cui faceva impazzire i compagni in allenamento. Sfida accettata, vinta e battezzata: l'Aurelio è oggi un gesto tecnico ufficialmente codificato. E' stato lui a ridare fiducia a chi sotto il boemo era finito pretestuosamente ai margini, come Daniele De Rossi. Inizio da brividi, con la sconfitta – e relativa rissa – incassata a Genova dalla Sampdoria. Ma poi ecco la prima medaglia da appuntare sul petto, la vittoria contro la Juventus. E, subito dopo, il successo in casa dell'Atalanta, con la Roma dei giovani, priva di mostri sacri come il citato De Rossi e come Francesco Totti. C'era bisogno di uno così per voltare pagina, in una città che riesce sempre a vivere di eccessi. Buon ultimo lo sceicco che vorrebbe entrare nel club. Un signor nessuno, cui sono bastate tre partite per diventare qualcuno e per cominciare a porre le basi di una seria candidatura personale nella prossima stagione.

    E tre partite sono state sufficienti a Maurizio Zamparini per l'ennesimo giro di valzer: un calcio nel sedere ad Alberto Malesani e precipitosa richiamata alle armi di Gian Piero Gasperini, nel tentativo di fermare la picchiata in cui si è imballato il Palermo. Tre pareggi uno in fila all'altro sono bastati a decretare la fine dell'ennesimo tecnico cacciato dal presidente tra Venezia e la Sicilia. Copione immutato come un cinepanettone. Mentre Malesani parlava "di salvezza ancora possibile", dopo il pareggio in casa contro il Genoa, altri stavano preparando la restaurazione. Una triste fine per chi aveva gettato le basi da cui il Chievo sarebbe partito per approdare in serie A e per chi aveva portato il Parma a vincere in Europa e a sfidare la Juventus in Italia quando si era tutti convinti che la Parmalat fosse un'ambiziosa azienda di livello mondiale con salde radici provinciali. Invece la parabola della famiglia Tanzi è stata quella dell'allenatore, anch'egli alle prese con le botte di una vita professionale divenuta contrastata, e non solo per varie esperienze chiuse malamente. Dagli insulti incassati dai tifosi più pacifici del mondo – quelli del Chievo – quando esultò per aver vinto un derby seduto sulla panchina del Verona, agli insulti personali ai giornalisti – sport sempre di moda – quando lo criticavano per la gestione del Panathinaikos. Rari alti e molti bassi in una provincia non più scintillante come quella di Parma, a fare i conti con una realtà sempre più grigia. Fino all'illusione di un prestigiatore come Zamparini: Malesani è stato l'ennesimo coniglio tirato fuori dal cappello, ma senza l'applauso del pubblico.