Bersani e la sfiducia di Napolitano

Claudio Cerasa

Dopo quattro giorni di tentativi, abboccamenti, proposte, offerte e messaggi  sibillini rivolti da Pier Luigi Bersani al Movimento 5 Stelle, la premiata ditta Grillo&CasaleggioSmanettoni&Associati, che negli ultimi giorni ha già definito il segretario del Pd, nell’ordine, “un morto che parla”, “un politico alla Gargamella” e uno “smacchiatore fallito”, anche ieri ha regalato al centrosinistra una dichiarazione che non contribuisce a rafforzare il progetto di grande coalizione Pd-Grillo suggerito in queste ore dal leader del Partito democratico.

Leggi Sorpresa. Anche i giovani anti Renziani puntano su Renzi per il dopo Bersani di Claudio Cerasa

    Dopo quattro giorni di tentativi, abboccamenti, proposte, offerte e messaggi sibillini rivolti da Pier Luigi Bersani al Movimento 5 Stelle, la premiata ditta Grillo&CasaleggioSmanettoni&Associati, che negli ultimi giorni ha già definito il segretario del Pd, nell’ordine, “un morto che parla”, “un politico alla Gargamella” e uno “smacchiatore fallito”, anche ieri ha regalato al centrosinistra una dichiarazione che non contribuisce a rafforzare il progetto di grande coalizione Pd-Grillo suggerito in queste ore dal leader del Partito democratico. “Renzi e Bersani – ha scritto ieri Grillo sul suo blog – hanno le facce come il culo, non siamo in vendita, non votiamo nessuna fiducia”. L’ennesimo “vaffa” regalato da Grillo al segretario costituisce una notizia di rilievo non perché il comico abbia detto qualcosa di nuovo sul leader del Pd (Gargamella è sempre Gargamella) ma semplicemente perché, come ha confermato ieri Bersani in una intervista a Rep., a oggi la linea del centrosinistra continua a essere quella: definire un pacchetto di sette-otto proposte da presentare alle Camere a metà marzo, tentare di stanare Grillo su queste proposte mettendolo di fronte alle “sue responsabilità” e presentarsi quindi al Quirinale “forti” (tra mille virgolette) dell’idea di costruire un governo di minoranza sul famoso modello adottato in Sicilia dal governatore Rosario Crocetta. Fin qui tutto chiaro. Se non fosse che la linea del segretario giorno dopo giorno risulta essere in contraddizione sempre più aperta con quella del presidente della Repubblica. E la questione, come si capirà, non è da poco.

    Il primo fotogramma dello scontro (per ora) a bassa intensità tra il Quirinale e i massimi vertici del Pd è andato in onda lunedì pomeriggio su tutti i canali italiani, quando diversi esponenti di primo piano del centrosinistra – una volta realizzato che lo straordinario successo della coalizione fotografato dai primi exit poll non era a ben vedere né straordinario né tantomeno un successo – si sono lasciati andare e hanno messo nero su bianco le vere e inconfessabili intenzioni del Pd: si prova a fare un governo e nel caso in cui non ci si dovesse riuscire niente discussioni e si torna subito al voto. La proposta di nuove votazioni ventilata in quelle ore, per esempio, da Stefano Fassina ed Enrico Letta ha portato il presidente della Repubblica a intervenire in prima persona e a chiedere al Pd, e a Bersani, di cambiare linea e cancellare dal vocabolario la parola “elezioni” (risultato: a tarda sera Enrico Letta smentirà l’ipotesi “nuove elezioni”). Un concetto che lunedì Napolitano ha ribadito al telefono al segretario e al vicesegretario e che ieri il capo dello stato ha ripetuto questa volta in via ufficiale. “Andare a votare di nuovo non mi interessa. Per quanto mi riguarda non ho potere di scioglimento delle Camere e dubito che il nuovo presidente possa pensare solamente allo scioglimento”. Parole che hanno avuto un riflesso importante nel quartier generale del Partito democratico e che hanno avuto dei riflessi importanti sui delicati equilibri del centrosinistra.

    La diffidenza di Napolitano per la linea Bersani – e la convinzione che sia quasi impossibile per il segretario del Pd dimostrare di avere un accordo preventivo con Grillo, condizione considerata indispensabile dal Quirinale per dare a Bersani l’incarico di formare un nuovo governo – è speculare alla freddezza percepita in queste ore dal leader del Pd all’interno del suo stesso partito. Mercoledì, a meno di sorprese, Bersani otterrà infatti la fiducia della direzione Pd sulla sua agenda programmatica (governo con Grillo oppure voto). Ma nonostante le apparenze la verità è che in questa fase cruciale la vecchia oligarchia del Pd (D’Alema, Veltroni, Fioroni, Franceschini, Letta) pur non potendolo confessare apertamente condivide in pieno la linea di Giorgio Napolitano. “Lasceremo fare un tentativo a Bersani – confida al Foglio un dirigente di peso del Pd – dopo di che, una volta appurato, come è evidente, che il governo con Grillo non si potrà realizzare, ci schiereremo con Giorgio Napolitano e tenteremo in tutti i modi di costruire un esecutivo tecnico. Bersani è convinto che il ‘no’ di Grillo al governo sia un assist perfetto per il Pd per fare una campagna elettorale tutta incentrata sulla irresponsabilità del comico. Lui la pensa così e come Vasco Errani, Maurizio Migliavacca, Vendola e alcuni dei giovani turchi già intravede la finestra di giugno per andare a votare. Ma come sa chiunque nel Pd, la realtà è che tutti gli altri esponenti di peso del partito la pensano al contrario, ed esattamente come Giorgio Napolitano”. 

    Motivo? Semplice. Un po’ perché – si ragiona nel Pd – i vecchi dirigenti sono convinti che andare a votare oggi sia pericoloso per il paese (la stabilità dei conti, i mercati, la credibilità internazionale, eccetera). Un po’ però perché gli stessi vecchi dirigenti in questione sanno che per molti di loro un esecutivo tecnico rappresenterebbe l’ultimo biglietto utile per farsi un giro e ritardare la loro inevitabile rottamazione. Ecco. Un po’ per tutto questo, dunque, non è un caso che tra i corridoi del Quirinale e quelli del Nazareno (sede del Pd) ci sia un nome che giorno dopo giorno viene sussurrato sempre con più convinzione: non Matteo Renzi, naturalmente, ma Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia. Un nome di fronte al quale, probabilmente, il Pd avrebbe una certa difficoltà a dire no scusate meglio andare a votare.

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    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.