Adieu, insalutato Pier

Stefano Di Michele

Come per Ulzana (Usa, 1972), adesso nessuna pietà ci sarà per Pier (Italia, 2013). Là l’apache si ribellava, qui il democristiano si mimetizzava: un occhio a san Giovanni e uno alla Madonna, a destra e a sinistra, al centro sempre, al centro comunque. E il centro, infine, gli ha spalancato la botola politica sotto i piedi. Non lo soccorrerà Bersani, che di suo ha da esser soccorso; non lo soccorrerà il Cav., seppure ne lodò il “bel sedere” mediaticamente finito su Eva Tremila, che dai suoi invoca soccorso; non lo soccorrerà Monti, che ancor si loda mentre i suoi partitini soci affogano. Nessuna pietà, dunque, per Casini.

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    Come per Ulzana (Usa, 1972), adesso nessuna pietà ci sarà per Pier (Italia, 2013). Là l’apache si ribellava, qui il democristiano si mimetizzava: un occhio a san Giovanni e uno alla Madonna, a destra e a sinistra, al centro sempre, al centro comunque. E il centro, infine, gli ha spalancato la botola politica sotto i piedi. Non lo soccorrerà Bersani, che di suo ha da esser soccorso; non lo soccorrerà il Cav., seppure ne lodò il “bel sedere” mediaticamente finito su Eva Tremila, che dai suoi invoca soccorso; non lo soccorrerà Monti, che ancor si loda mentre i suoi partitini soci affogano. Nessuna pietà, dunque, per Casini: troppo bello, troppo democristiano, troppo furbo – di antica furbizia dorotea, ora finita scotennata dalla fuoriuscita in massa di grillini dalle riserve. Aveva una volta uno studio e due finestre, Pier, lo sguardo languido si allungava sull’orizzonte: “Una inquadra il Vaticano, l’altra il Quirinale. Per il primo non ho credenziali. Per il secondo si vedrà” – e si è visto, l’ambìto palazzo si svaporizza e l’orizzonte che era di gloria si muta in futuro di quieta noia, “sono un senatore vicino alla pensione”, la panchina piuttosto che la poltrona: e chissà se è più fuga, la sua, o un sottrarsi all’obbligo di esserci per evitare l’ignominia dell’altrui dimenticanza. C’erano (ci sono, si spera) le preci alla Madonna di San Luca e le universitarie (sondaggio 2008) che come il più sexy del Parlamento lo acclamavano, poi la beltà passa (piano, ma passa: è pur sempre il materiale umano più vicino a George Clooney di cui disponiamo) e forse anche la Vergine si assopisce. Nessuno porgerà una mano, e forse nessuno più un orecchio, mentre solo pochi mesi fa intere transumanze dalla Rai marcavano il sentiero, quali pecore verso il buon pascolo, fino a via Due Macelli.

    Di scuola forlaniana, dignitosamente mai rinnegata, come l’antico Arnaldo si vantava di poter parlare per ore senza dire niente, ma quella saggezza (che saggezza fu) di panna democristiana, di aria fritta moderata, niente più ha potuto – così Pier finì condotto al macello politico: tra vanità montezemoliana e contabilità montiana e dissipazione finiana. “E’ stata una bella storia, ma è finita”, ha scritto agli inconsolabili suoi. L’ultima fiammella democristiana si spegne, tra l’indifferenza di giornali e tv appena ieri presi da lodamento, davvero candela nella tempesta, dopo un ventennale arrancare tra Ccd e Cdu e Udc, un leva e metti da mal di testa, e un inno che faceva così: “Sciogliamo la vela / la rotta c’è già / è stata tracciata / duemila anni fa”. Se i giorni della gloria erano marcati dall’imitazione di Neri Marcorè, quelli della dissipazione richiedono il più solido soccorso di san Paolo, “abbiamo combattuto una buona battaglia” – parole alte, ma sempre meste parole d’addio. Non c’è più vento nella vela, anzi la barca è già sommersa dalle acque. Per molti era il niente, l’Udc; per altri, siccome centro, era quale birillo di quel biliardo di Foligno, centro del centro del mondo. Il caro scudocrociato a difesa adesso non serve più: per i pochi rimasti basta il coperchio di una pentola. Meglio accendersi il solito sigaro. Adieu, Pier.

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