Da De Gregorio a Razzi passando per il Cav. Breve elogio dell'immoralità
Viva i delinquenti, meglio il ladro sveglio che un cretino onesto perché ai furti c’è rimedio, ai danni della stupidità no. Diciamo che è una questione antropologica. Il politico rotto a tutto non sta lì a menarsela, non alza il sopracciglio, non ammorba con stridule indignazioni. Persegue i suoi scopi con assoluta amoralità: se deve blandire blandisce, se deve promettere promette, se deve corrompere corrompe, se deve pagare paga: incarichi, oneri, prebende. Sa che l’interesse personale è il solo punto immobile del cuore umano e si muove di conseguenza. Lo sapeva anche Abramo Lincoln.
Viva i delinquenti, meglio il ladro sveglio che un cretino onesto perché ai furti c’è rimedio, ai danni della stupidità no. Diciamo che è una questione antropologica. Il politico rotto a tutto non sta lì a menarsela, non alza il sopracciglio, non ammorba con stridule indignazioni. Persegue i suoi scopi con assoluta amoralità: se deve blandire blandisce, se deve promettere promette, se deve corrompere corrompe, se deve pagare paga: incarichi, oneri, prebende. Sa che l’interesse personale è il solo punto immobile del cuore umano e si muove di conseguenza. Lo sapeva anche Abramo Lincoln. Si dirà però che il presidente americano usò mezzi poco ortodossi per un nobile scopo, vincere una grande battaglia mentre qui di grandi battaglie nemmeno l’ombra.
Ora a parte che non esiste politico degno del nome che non sia intimamente convinto che la sua permanenza al potere, la sua sopravvivenza per eliminare i rivali e sconfiggere gli avversari sia in sé fatto della massima importanza, non sarebbe forse una grande battaglia nazionale ridurre la pressione fiscale, riqualificare la spesa pubblica e liberare risorse perché no per un vero reddito di cittadinanza?
E chi sarebbe meglio che conducesse una battaglia così, una mammola, un algido ragioniere, o un sacré figlio di buona donna? Eppure si fa di tutto per dimostrare il lato degradato e degradante, immorale insomma dell’uomo politico. Non è lungimirante, anzi rispecchia una idea angusta povera della politica e della democrazia. E’ imbarazzante vedere i sorrisini e gli ammiccamenti nei confronti di un Razzi che contribuì a tenere in vita il governo Berlusconi solo perché non voleva perdere la pensione: motivazione comune a milioni di persone, giornalisti compresi. E’ malsano che uno Scilipoti diventi un neologismo ed entri persino nel vocabolario di uno come Grillo che pure sogna democrazie immediate e molto trasparenti. E’ fuori dal mondo che venga considerato reato e non quello che è, un caso di basso mercimonio politico, l’intera faccenda De Gregorio: è vero che prendere i soldi è sempre meno elegante di un incarico di prestigio o di una presidenza ben remunerata, ma è pur sempre nell’ambito di una battaglia legittima per portare avversari dalla propria parte e cambiare i rapporti di forza.
Fuori dal mondo infine è anche il modo in cui il centro-destra ha reagito a queste campagne: si è messo a sgranare i peccati degli altri, i Pallaro, i Mastella con il solo risultato di dare vita a un brutto album Panini della democrazia italiana. E’ la reazione aggressiva del timido, è il cornuto inglese che reagisce male e in ritardo.
Eppure andrebbe spiegato che la democrazia ha un dritto e un rovescio, una normalità virtuosa e una sua patologia, e non da ora. Che quello elettorale è un mercato come gli altri, forse non se ne sono nemmeno accorti i candidati ne hanno anche mutuato il lessico, questa che si è appena conclusa è stata la campagna della “nuova offerta” politica, proprio come in un supermercato. Le macchine anche dei migliori partiti non possono fare a meno del “boss”, dell’imprenditore di consensi che controlla i voti della sua zona e li canalizza, personaggio non sempre limpido, già noto nell’ottocento per essere sospeso tra legalità e corruzione, manipolabile e manipolatore, eppure capace di razionalizzare il consenso.
A differenza della monarchia e dei regimi oligarchici che traevano legittimità dall’esterno, dal diritto divino o dal dominio sociale, la democrazia non ha principio di legittimità al di fuori di sé. Rimediare alle anomalie, alle patologie della democrazia spetta dunque alla politica: è lei che deve trovare modi per equilibrare, controllare, proibire. Non le procure, non giornali emiplegici, non i cori degli indignati.
E per questo è stato finora così difficile. Che centro destra e centro sinistra non riescano più a emettere il minimo suono comune dai tempi della bicamerale, che si vergognino persino di cercarlo un compromesso, che abbiano passato mesi a far finta di voler cambiare la legge elettorale tenendo la guardia alta nella vana attesa di sferrare il colpo del ko, proprio come due pugili rintronati, ha portato acqua solo al mulino dei Cinque stelle. Alimentando l’idea fasulla che la palingenesi possa passare attraverso la rete.
E’ evidente che la sfera pubblica abbia bisogno di molto più che di un semplice lifting, che la più bella del mondo, la “Carta” di sana e robusta costituzione, non regga più. In una società complessa, disomogenea, che non ha più centro, che ha ucciso il padre e magari anche la madre, che crede di essersi appropriata dei saperi solo perché c’è internet, quando si parla di bene comune l’obiezione che irrompe spontanea è: comune a chi?
Allora ci dovrebbe essere una certa urgenza a mettersi attorno a un tavolo sgombro dai Razzi, dagli Scilipoti, dai Casentino, dai De Gregorio, dai Pallaro, dall’attesa di procure salvifiche, di condanne che non farebbero altro che incancrenire. E finalmente a tirar su una casa comune che stia in piedi.
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