Nella testa di Kim Jong-un

Giulia Pompili

A partire da lunedì prossimo, 11 marzo, la Corea del nord riterrà ufficialmente nullo l’armistizio del luglio del 1953 che pose fine alle ostilità della Guerra di Corea. Si è espresso così il portavoce del ministero degli Esteri nordcoreano, ieri, ufficializzando la posizione di Pyongyang subito prima che il Consiglio di sicurezza dell’Onu approvasse all’unanimità una nuova risoluzione, la quarta, contro la Corea del nord per il suo test nucleare effettuato a febbraio. Anche la Cina ha votato contro Pyongyang. La risoluzione di ieri prevede il blocco delle transazioni finanziarie dalla Corea del nord, limita la circolazione di denaro contante, autorizza i paesi limitrofi all’ispezione dei cargo nordcoreani e allunga la lista di materiale non importabile a Pyongyang.

    A partire da lunedì prossimo, 11 marzo, la Corea del nord riterrà ufficialmente nullo l’armistizio del luglio del 1953 che pose fine alle ostilità della Guerra di Corea. Si è espresso così il portavoce del ministero degli Esteri nordcoreano, ieri, ufficializzando la posizione di Pyongyang subito prima che il Consiglio di sicurezza dell’Onu approvasse all’unanimità una nuova risoluzione, la quarta, contro la Corea del nord per il suo test nucleare effettuato a febbraio. Anche la Cina ha votato contro Pyongyang. La risoluzione di ieri prevede il blocco delle transazioni finanziarie dalla Corea del nord, limita la circolazione di denaro contante, autorizza i paesi limitrofi all’ispezione dei cargo nordcoreani e allunga la lista di materiale non importabile a Pyongyang.
    “Dal momento che gli Stati Uniti stanno per innescare una guerra nucleare, eserciteremo il nostro diritto di attaccare preventivamente l’aggressore, al fine di proteggere il nostro supremo interesse”, ha riportato l’agenzia di stampa nordcoreana Kcna citando il ministero degli Esteri del governo di Kim Jong-un. L’11 marzo è il giorno in cui le annuali esercitazioni tra Corea del sud e America “Foal Eagle”, che hanno durata bimestrale, avranno il loro appuntamento principale: l’esercitazione “Key Resolve”, che coinvolgerà oltre duecentomila uomini dell’esercito sudcoreano e quasi tremila americani.
    Il successo del test nucleare di febbraio ha permesso al leader nordcoreano, Kim Jong-un, di intensificare le dichiarazioni e la propaganda contro “le provocazioni americane e i burattini sudcoreani”. E attualmente, secondo gli analisti, non è possibile escludere che la Corea del nord sia effettivamente in grado di “premere il bottone rosso” e lanciare un missile nucleare contro obiettivi americani. Qualche giorno fa i trasportatori di missili a breve e medio raggio hanno viaggiato nei pressi della città portuale di Wonsan, sul mar del Giappone. Secondo il Sejong Institute, think tank sudcoreano, è possibile che Pyongyang questa volta, forte dell’amicizia sempre più stretta con l’Iran sempre più nuclearizzato – le immagini dei satelliti hanno rilevato la presenza di una nuova moschea sciita costruita dagli iraniani nella zona delle ambasciate della capitale nordcoreana – possa scegliere nuove forme di provocazioni: “Potrebbero decidere per un altro attacco sottomarino, un atto terroristico, o un atto di cyber-terrorismo”.

    In effetti, nessuno credeva che la folle “diplomazia del basket” sortisse qualche effetto sui rapporti tra America e Corea del nord. La visita a fine febbraio del campione dell’Nba Dennis Rodman era stata rubricata dal segretario di stato americano John Kerry come “la visita di un americano in Corea del nord. Rodman è stato un campione di basket, e come diplomatico… è stato un grande campione di basket”.  Ma è significativo che nel gennaio scorso Kim Jong-un aveva deciso di non incontrare la delegazione in visita a Pyongyang formata da Eric Schmidt, patron di Google, e Bill Richardson, ex governatore del Nuovo Messico. Quando però i produttori della Hbo hanno contattato le autorità per girare un documentario con il magazine Vice sul basket in Corea del nord, Kim non ha esitato. Le immagini del giovane leader in compagnia di Rodman, detto “The Worm”, hanno fatto il giro del mondo. Il marcantonio alto oltre due metri, con la pelle nera, pieno di tatuaggi e pearcing, è stato accolto come mai gli osservatori occidentali si sarebbero aspettati. Nell’assurda e incomprensibile doppiezza del leader nordcoreano, sembra quasi normale che il comunicato stampa della Kcna, in cui si parlava dell’amichevole partita di basket a cui Rodman ha assistito con Kim Jong-un, sia stato lanciato subito prima del quotidiano commento contro “il nemico americano”. Rodman è tornato in America parlando di Kim come di un “bravo ragazzo” che non vorrebbe la guerra con gli Stati Uniti: “Si aspetta solo una telefonata di Obama”, ha detto in un’intervista alla Abc, “magari per parlare della loro passione comune, il basket”.

    La propaganda militaristica contro l’America, invece, è ai massimi livelli dal dicembre scorso, da quando cioè il giovane Kim Jong-un è riuscito laddove suo padre e suo nonno avevano fallito: il test missilistico camuffato da lancio di satellite spaziale e dopo un mese quello nucleare. E i due test sono legati, secondo gli esperti, perché entrambi conducono alla costruzione del missile nucleare a medio-lungo raggio, capace di colpire se non le coste americane (anche se le Hawaii sono molto vicine) certamente quelle giapponesi e sudcoreane. Con certi strumenti tra le mani di Kim Jong-un e dell’esercito nordcoreano, la propaganda si è sbizzarrita. Nel giro di un mese il canale ufficiale di Pyongyang su YouTube ha diffuso due diversi video particolarmente inquietanti. Il primo ritraeva il sogno di un soldato, che vedeva accanto al “florido futuro della Corea riunificata” una città simile a New York sotto attacco missilistico (il video, però, era stato subito ritirato per violazione di copyright: le immagini erano del videogioco “Call of Duty” che ne ha richiesto la rimozione). Il secondo video, di una settimana fa, mostra invece le immagini del presidente americano, Barack Obama, tra le fiamme. Un effetto speciale goffo e posticcio, ma rappresentativo. A febbraio, mentre Pyongyang completava con successo il suo terzo test nucleare, le prime pagine dei siti d’informazione sudcoreani aprivano con le vendite di cosmetici. I sudcoreani hanno generalmente un atteggiamento molto “rilassato” nei confronti delle minacce che arrivano periodicamente dal nord. Eppure solo due giorni fa Seul ha avuto una reazione scomposta dopo la minaccia di vanificare l’armistizio del 1953. In una conferenza stampa della Difesa sudcoreana, l’ufficiale dell’esercito Kim Yong-hyun ha letto un comunicato anomalo: “Se la Corea del nord prosegue con le provocazioni e minaccia la vita e l’incolumità dei sudcoreani, i nostri militari reagiranno fortemente e severamente contro il comando e le sue forze di supporto. Vogliamo che sia chiaro che (i nostri militari) hanno fatto tutti i preparativi per mettere in atto una giusta reazione”.

    Nonostante le minacce sembra esclusa, per il momento, una riedizione della guerra tra nord e sud degli anni Cinquanta. All’epoca la Corea del nord preparava da mesi il suo attacco lungo la linea del 38° parallelo. Kim Il-sung aveva organizzato un esercito addestratissimo di oltre 350 mila uomini, oltre che di mezzi e del supporto logistico di Cina e Russia. Oggi la Corea del nord combatte contro la carestia, gli uomini dell’esercito sono affamati, e soprattutto non avrebbero sufficiente petrolio per un combattimento che duri oltre le 24 ore. “Non è verosimile l’ipotesi di un’invasione con le forze di terra”, dice al Foglio un ex Sangjwa, colonnello dell’esercito nordcoreano, che ha disertato nel 2002 e ora vive in Corea del sud. “Anche i tunnel, costruiti intorno al 1970, ora non vengono più utilizzati”. L’ex colonnello, che preferisce per motivi di sicurezza restare anonimo, si riferisce alla rete sotterranea fatta costruire dal governo di Pyongyang. Sono attualmente quattro le gallerie scoperte e liberate dall’esercito di Seul (tre di esse sono addirittura visitabili durante i tour guidati nella zona demilitarizzata tra nord e sud). Ma, secondo alcuni osservatori, esisterebbero altri tunnel che oltrepasserebbero sottoterra il limite del 38° parallelo. In una lunga intervista al magazine americano Vice dello scorso agosto, un soldato sudcoreano della Nato spiegava al giornalista Ben Makuch come Seul si stesse preparando a un attacco nordcoreano via terra: meticoloso pattugliamento di ogni angolo della zona demilitarizzata, addestramento per resistere ai sette minuti previsti prima del bombardamento aereo degli alleati. Ma, secondo il soldato intervistato da Vice, la Corea del sud non può nulla contro le basi militari sotterranee, da cui partirebbero i tunnel che si estendono per oltre quattro chilometri in territorio ostile e larghi abbastanza da far “riemergere” ogni ora un intero battaglione. Non è d’accordo sull’ipotesi della guerra sotterranea l’ex colonnello dell’esercito a colloquio con il Foglio: “Si tratta di un mito. Solo le forze speciali hanno una buona formazione, e si tratta di pochi uomini. Altri rami dell’esercito ricevono una formazione molto debole – non ci sono razioni di cibo sufficienti per sfamare i soldati e farli allenare bene. Io non mi sono mai addestrato correttamente né duramente”. L’ex soldato nordcoreano dice al Foglio che l’esercito è una tappa obbligata per le persone comuni in Corea del nord. Il servizio militare, obbligatorio per tutti, “dura dieci anni per gli uomini e sette per le donne. Solo dopo si può accedere all’università o scegliere definitivamente la carriera militare, e solo alcune persone privilegiate possono saltare questo iter di formazione”. Ed essendo un servizio obbligatorio, nessuno stipendio è previsto per dieci anni: “Solo razioni militari e una piccola indennità per i beni personali”.

    Secondo Jang Jin-sung, che fu il poeta ufficiale di Kim Jong-il, la retorica militaristica nordcoreana è destinata all’indebolimento per via dell’economia molto oltre il fallimento (negli ultimi due mesi anche il prezzo del riso da esportazione nordcoreano è crollato): “La leadership di Kim Jong-un”, dice al Foglio Jang, “nonostante sembri diversamente, è molto debole. Tutto il regime sta diventando debole. Quando morì Kim il Sung, il figlio Kim Jong-il ha creato la sua dittatura. Ma quando Kim Jong-il è morto, è morto anche il pilastro su cui si reggeva la dittatura. E ora il figlio non sta aiutando l’economia, e non sta togliendo potere all’esercito”. Jang ci racconta che da piccolo leggeva di nascosto le poesie di Lord Byron. Di nascosto perché le opere del poeta inglese sono vietate nel suo paese. E’ grazie a quelle letture che ha iniziato a scrivere, e ha potuto mangiare: “Sono stato iscritto, da bambino, come studente di pianoforte alla scuola di musica Pyongyang, ma scrivevo poesie di nascosto. Una mia poesia poi è stata scelta per essere pubblicata sul quotidiano nordcoreano più prestigioso, il Rodong Sinmun, nel 1992. Avevo 21 anni. Da quel momento Kim Jong-il mi ha permesso di passare alla scrittura”. I poeti ufficiali di regime, spiega Jang, non hanno lo stesso trattamento dei soldati di leva: “Avevo diritto a una razione di cibo più consistente di quella della gente comune, e alloggiavo in appartamenti speciali, prestigiosi”. Poi, nel 2004, ha deciso di scappare in Corea del sud: “Sono stato beccato mentre facevo girare letteratura straniera, che è illegale”. Era il 2004 quando Jang ha attraversato a nuoto il fiume Tumen ed è arrivato in Cina. E prima che lo rimpatriassero – la Cina non ha ancora aderito al trattato internazionale per i rifugiati politici nordcoreani, e continua i rimpatri forzati – è scappato in Corea del sud, dove “ho sempre paura, costantemente. Ma anche no, visto che riesco a scrivere e a svolgere serenamente le mie attività. Ma della Corea del nord mi manca solo la mia famiglia e i miei amici”. Nel 2012 è stata concessa la nazionalità sudcoreana a 23.500 nordcoreani. 

    • Giulia Pompili
    • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.