Come forzare il lucchetto a 5 stelle
Un lucchetto chiude a chiave il moloch a Cinque stelle: nessuno dica nulla, parlino solo i capigruppo, niente alleanze, niente fiducia, attenti ai lupi, attenti pure ai social media (come tenere, sennò, 162 parlamentari come un sol uomo?). Ma può in qualche modo saltare, questo lucchetto, sottoposto com’è a una pressione forte, nelle strettoie del calendario, tra inizio consultazioni e fine settennato? Esiste un possibile punto di rottura, qualcosa che permetta a Grillo di non dire apertamente sì, permettendo però anche che si vada avanti in qualche forma?
Un lucchetto chiude a chiave il moloch a Cinque stelle: nessuno dica nulla, parlino solo i capigruppo, niente alleanze, niente fiducia, attenti ai lupi, attenti pure ai social media (come tenere, sennò, 162 parlamentari come un sol uomo?). Ma può in qualche modo saltare, questo lucchetto, sottoposto com’è a una pressione forte, nelle strettoie del calendario, tra inizio consultazioni e fine settennato? Esiste un possibile punto di rottura, qualcosa che permetta a Grillo di non dire apertamente sì, permettendo però anche che si vada avanti in qualche forma? Pier Luigi Bersani, con gli “otto punti” da offrire in mano, insiste con quello che l’ex comico chiama “stalking”: “Grillo dica cosa vuole fare”. Il quotidiano Repubblica non demorde (anche ricorrendo a “pontieri” altolocati, da Dario Fo a Renzo Piano): accordo con il Pd su pochi punti, a tempo. E ieri Curzio Maltese poneva in prima pagina la grande domanda: “Beppe, perché non consulta la sua base sull’eventuale alleanza con il centrosinistra?”. Grillo intanto dice “no” su blog e giornali esteri e qualche giorno fa, ai suoi eletti, in una riunione riservata non in streaming, il cui riassunto è stato pubblicato su Tiscali (con citazione dal report di Samuele Segoni, neodeputato), Grillo ha detto che si doveva “restare uniti” per “stanare” i partiti, e dunque “no alla fiducia, si vede proposta per proposta, scenario per scenario”.
Secondo un altro report girato sulle bacheche a Cinque stelle (a firma Alessio Tacconi, neo eletto poi contestato per la campagna elettorale dispendiosa), Gianroberto Casaleggio, sempre nella pre riunione con gli eletti, “ha sottolineato l’importanza di riuscire a mantenere un gruppo capace di lavorare insieme senza dissidi interni… e ha confermato che il ruolo dello staff è quello di dare un indirizzo politico che i nuovi eletti avranno poi la responsabilità di trasformare in decisioni e iniziative”. Sotto, ci sono linee di possibile attrito, non frattura. Ma già l’attrito è qualcosa di rischioso, oggi. Un conto sono gli eletti, al momento monolitici, anche se potenzialmente sensibili al tema “democrazia interna”, qualche mese fa venuto alla ribalta con i casi Salsi, Favia e Tavolazzi. Oggi al massimo si sente dire che “anche chi tra gli eletti non vorrebbe tornare a votare, e anche chi vorrebbe intanto fare qualcosa per i cittadini, e ce ne sono, deve guardare all’unità”, come spiegavano ieri negli ambienti del M5s campano. Gli attivisti semplici sono più liberi di discutere su Facebook o negli incontri la questione del “siamo arrivati qui e ora diciamo no anche a cose che abbiamo proposto?”, come sintetizzava ieri un veterano del movimento, il quale ricordava “che però nei giorni scorsi si è discusso di tutto: Monti bis, i tecnici, ma di fondo noi non vogliamo e non possiamo dire sì a nessuno”. C’è una sorta di autoallineamento, nella base talmente liquida da poter cambiare pelle in fretta. E però, a un certo punto, si è anche parlato di una divaricazione strategica al Senato, con una parte dei grillini che “resta in Aula e una parte che esce”.
Unico problema: la “giustificazione” del tutto. Per esempio un “nome”, un nome di alto profilo (tipo Stefano Rodotà o altre personalità da “governo Santoro” – parlando con gli attivisti, il nome “Rodotà” riscuote stima, intanto). Non un nome spendibile per il governo, a questo punto, ché Grillo ha chiuso a qualsiasi fiducia. Resta, sullo sfondo, il Grillo che dice “vado io da Napolitano” e loda Napolitano quando difende all’estero il voto italiano, come se il Quirinale fosse l’unico livello accettabile di “istituzionalizzazione”. Chissà se il nome “di alto profilo” (ma per il Quirinale) gradito al M5s può essere allora la “giustificazione” di cui si parla. Poi ci sono gli elettori, sensibili, in parte, alla linea Repubblica e alle petizioni che perorano il dialogo con il Pd, come quella lanciata la settimana scorsa da Viola Tesi su change.org, sconfessata dal gotha a Cinque stelle ma molto cliccata. Gli elettori non sono tutti attivisti. Gli elettori hanno in parte votato Grillo per “buttare giù” gli altri, ma potrebbero non gradire la linea dura. Per ora prevale un consenso anche psicologico per l’uomo che permette di dire “vaffanculo” all’odiata casta, non importa se poi non seguiranno i fatti.
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