Il buono e il cattivo
Ljajic si ritrova quando Cavani si perde
Ragazzo ambizioso, Adem Ljajic. Con il programma della vita racchiuso in un numero, il 2 ripetuto due volte: il 22, il numero che al Milan ha significato Ricky Kakà, non uno qualsiasi. E' quello che il serbo sceglie quando arriva in Italia, con la Fiorentina pronta a inserirsi nel momento in cui il Manchester United decide di far cadere la propria opzione. Ljajic è già uno importante in Serbia. Ha appena 19 anni ma viene considerato un talento su cui giurare a occhi chiusi, anche nel futuro immediato. Tanto per intenderci, il Partizan lo fa giocare in prima squadra da due stagioni. Il problema è che talento, per chi viene dall'ex Jugoslavia, spesso non fa rima con comportamento.
Ragazzo ambizioso, Adem Ljajic. Con il programma della vita racchiuso in un numero, il 2 ripetuto due volte: il 22, il numero che al Milan ha significato Ricky Kakà, non uno qualsiasi. E' quello che il serbo sceglie quando arriva in Italia, con la Fiorentina pronta a inserirsi nel momento in cui il Manchester United decide di far cadere la propria opzione. Ljajic è già uno importante in Serbia. Ha appena 19 anni ma viene considerato un talento su cui giurare a occhi chiusi, anche nel futuro immediato. Tanto per intenderci, il Partizan lo fa giocare in prima squadra da due stagioni. Il problema è che talento, per chi viene dall'ex Jugoslavia, spesso non fa rima con comportamento. E Ljajic non è un'eccezione, specie quando la squadra viola si avvita nei problemi di gestione coincisi con il malmostoso addio di Cesare Prandelli. Soprattutto perché viene affidata a Sinisa Mihajlovic, serbo anch'egli e anch'egli poco incline alla diplomazia, come l'attaccante. "Mangia troppa Nutella e perde tempo alla playstation", la sentenza del tecnico, che lo fa accomodare in tribuna.
Una tribuna da cui lo preleva Delio Rossi quando subentra: Alberto Gilardino se n'è andato, tutti servono ora alla causa. Anche chi appare già uno "sopportato" come Ljajic, i cui atteggiamenti dentro e fuori dal campo sembrano dar ragione ai detrattori. Fino alla serata del 2 maggio, al cambio mal digerito contro il Novara, a una smorfia o a una parola di troppo nei confronti di Rossi. Che non abbozza, anzi. Il match di pugilato tra i due è uno dei momenti meno edificanti della passata stagione, che costa l'esonero al tecnico e l'esilio interno al giocatore. Uno che che quest'estate sembrava destinato a dire addio, prima che Vincenzo Montella gli desse una nuova possibilità, visto che lui di talento e di giovani se ne intende. Una pazienza ripagata nel momento in cui conta, oggi Ljajic è tornato a fare notizia da calciatore e non da scapestrato. Quattro reti nelle ultime quattro partite, un'intesa perfetta con Stevan Jovetic e la Fiorentina a rilanciarsi tra le grandi. Tutto perfetto, o quasi. Se non fosse per la Nazionale dove, guarda il destino, dirige oggi Mihajlovic, duttile come una lastra di granito. Impastato di nazionalismo, pretende che tutti cantino l'inno. Imposizione che Ljajic ha finora rifiutato: lui è minoranza nel paese, in quanto musulmano, e alcune parole del testo lo feriscono, per quanto retoriche possano apparire. Ben più di quelle che il tecnico adoperava per accusarlo di essere un goloso perditempo.
E se pochi mesi hanno cambiato il destino di Ljajic, lo stesso sta avvenendo – in negativo – per Edinson Cavani. Tutti a cantare meraviglie del Napoli, eletto unica alternativa possibile allo strapotere della Juventus, fino a pochi giorni fa. Oggi tutti invece a puntare il dito sulla classifica, sollevando le ire contabili di Walter Mazzarri, che ha passato l'ultima settimana a voler dimostrare che le cose vanno numericamente meglio rispetto agli anni precedenti. Il problema è che assomigliano tanto ai numeri di Pier Luigi Bersani, utili soltanto per "non vincere" qualcosa: le elezioni, nel caso del segretario Pd; lo scudetto, nel caso dell'allenatore azzurro. Perché il Napoli andrà sì meglio, ma il primo posto è oggi lontano nove pesantissimi punti. Una crisi che ha colto la squadra nel momento in cui si è eclissato il suo uomo simbolo. Sarà un caso, ma da quando Cavani ha cominciato a essere accostato alle grandi d'Europa, il suo rendimento è sceso ai livelli di guardia: senza reti nelle ultime sei giornate di campionato, annullato nelle due inguardabili partite che hanno sancito l'eliminazione dall'Europa League. Incapace pure, nell'ultima gara a Verona, di cacciare in porta il rigore che avrebbe potuto riaprire il confronto contro il Chievo. E mentre Mazzarri si consolava pensando che, comunque, le cose stanno ancora andando meglio di un anno fa, qualcuno a Torino ghignava beffardo.
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