L'uomo che aveva rimontato

Il fatale isolamento (e il senso di disperazione) del Cav. e del suo partito

Salvatore Merlo

Nicolò Ghedini è sicuro: “Non si fermeranno”. E l’avvocato di Silvio Berlusconi allude alla procura di Napoli, agita lo spettro di una richiesta d’arresto che il capogruppo di Grillo, Vito Crimi, quasi rende reale: “Voteremo perché Berlusconi venga arrestato, perché risulti ineleggibile”. La novità è che nel prossimo Parlamento, in Aula, c’è una maggioranza favorevole al grillage giudiziario. Intontiti dalle botte che arrivano da tutte le parti, terrorizzati dall’incognito (cosa succederà adesso al capo, cosa al partito?), gli uomini del Cavaliere si stringono, spersi, attorno al vecchio leader.

    Niccolò Ghedini è sicuro: “Non si fermeranno”. E l’avvocato di Silvio Berlusconi allude alla procura di Napoli, agita lo spettro di una richiesta d’arresto che il capogruppo di Grillo, Vito Crimi, quasi rende reale: “Voteremo perché Berlusconi venga arrestato, perché risulti ineleggibile”. La novità è che nel prossimo Parlamento, in Aula, c’è una maggioranza favorevole al grillage giudiziario. Intontiti dalle botte che arrivano da tutte le parti, terrorizzati dall’incognito (cosa succederà adesso al capo, cosa al partito?), gli uomini del Cavaliere si stringono, spersi, attorno al vecchio leader. Ma con un tremendo interrogativo nello sguardo: com’è potuto succedere che la grande rimonta elettorale si sia risolta in questo lugubre isolamento?

    “Troppi errori”, allarga le braccia Fabrizio Cicchitto che oggi salirà al Quirinale, assieme ad Angelino Alfano e Maurizio Gasparri, per investire Giorgio Napolitano di un problema che tuttavia, per il presidente della Repubblica, forse non ha una soluzione istituzionale. Il Pdl è stravolto e Cicchitto, come i suoi compagni di partito, aggredisce “il pervicace disegno politico della magistratura”. Ma poi, quando parla di “troppi errori”, s’intuisce un sentimento forse inatteso, fa capolino il rimpianto: è difficile infischiarsene del passato, dunque il pensiero corre alle ultime fasi del controverso rapporto con il governo Monti: forse poteva andare diversamente, forse si poteva fare in un altro modo, forse si poteva rivendicare il senso di un’operazione politica di pacificazione nazionale. Rimpianto universale per le “occasioni perdute”, per le riforme mancate, quella della giustizia, ovviamente, su tutte. “Se non li affronti, i guai non arrivano mai uno alla volta, ti piovono addosso tutti insieme”. Così adesso s’ode un sinistro tintinnare di manette, tira il vento d’una resa dei conti politica e giudiziaria, il Pdl è isolato, mentre l’Italia appare destinata a nuove elezioni anticipate. Ma com’è successo? Dov’è finita la baldanza della rimonta? “Berlusconi non è riuscito a stabilizzare il sistema, non si è mai costituzionalizzato, e queste sono le tragiche conseguenze”, dice Massimiliano Panarari, politologo ed editorialista della Stampa di Torino.

    Il paradosso è che il Cavaliere-Masaniello aveva cambiato registro e vocabolario negli ultimi tempi. Chiusa la campagna elettorale e il suo scemenzario, era stata rinfoderata anche la cialtronesca restituzione dell’Imu e i messaggi pubblici riorientati, con piglio rassicurante, verso l’idea della “governabilità” e il valore della “responsabilità”. Insomma, dicono i berluscones: ora che Berlusconi ricominciava a ragionare di politica e di istituzioni, il fronte del conformismo moralista gli ha opposto il muro del disprezzo e della minaccia, e “i pm vogliono mandarlo in galera per vendetta”. Questo lo si sente dire ovunque nel Pdl, e con chiarezza. Ma il Cavaliere è anche causa dei suoi mali, come sanno un po’ tutti nel partito stravolto (malgrado fatichino a confessarlo persino a se stessi). E’ Berlusconi, cioè il regista di ogni vittoria e di ogni disfatta, a non aver voluto costruire le premesse per quell’accordo di sistema con il Pd che oggi, tra i marosi della crisi economica e dei suoi personali guai giudiziari, sarebbe prezioso anche per dare all’Italia una prospettiva di governo. “Se avesse rivendicato il senso della sua ‘abdicazione’, della sua rinuncia a favore di Monti a novembre del 2011 forse oggi Berlusconi non sarebbe arrivato a questo pesante finale di partita”, dice Panarari. “Il Cavaliere, uomo di movimento e impolitico dalla cifra populista, non ha voluto nemmeno porre le basi per una legislatura di pacificazione”, insiste l’editorialista della Stampa. Così, di fronte al pozzo nero della dissoluzione (dissipazione), si consuma l’ultimo atto della solitudine: oggi Alfano salirà al Quirinale con una serie di richieste che Napolitano non potrà nemmeno ricevere. E mentre gli avversari continueranno ad attaccare la “marcia di Berlusconi contro i giudici e contro il diritto”, sarà sigillato l’isolamento fatale dell’uomo che aveva rimontato le elezioni.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.