Maggioranza delle manette

In Parlamento il Pd è pronto anche a votare l'arresto di Berlusconi

Salvatore Merlo

“Questo è il Parlamento che può votare sì all’arresto di Berlusconi”, dice Pippo Civati, il deputato lombardo del Pd che in autunno correrà per la segreteria del partito. Se ne comincia a parlare, ma che succede (“noi che facciamo?”) se la procura di Napoli, tra qualche mese, come sembra, chiederà l’autorizzazione all’arresto di Silvio Berlusconi? L’interrogativo, la paura, ma anche la tentazione di liberarsi del mostro caimano, serpeggia nei corridoi laterali del Pd e si gonfia nella stanze della segreteria di Pier Luigi Bersani. “Con tutti i paradossi del caso”, come dice Civati, perché “Beppe Grillo non vuole fare un governo con noi, ma sa già che vuole il Cavaliere in carcere”.

    “Questo è il Parlamento che può votare sì all’arresto di Berlusconi”, dice Pippo Civati, il deputato lombardo del Pd che in autunno correrà per la segreteria del partito. Se ne comincia a parlare, ma che succede (“noi che facciamo?”) se la procura di Napoli, tra qualche mese, come sembra, chiederà l’autorizzazione all’arresto di Silvio Berlusconi? L’interrogativo, la paura, ma anche la tentazione di liberarsi del mostro caimano, serpeggia nei corridoi laterali del Pd e si gonfia nella stanze della segreteria di Pier Luigi Bersani. “Con tutti i paradossi del caso”, come dice Civati, perché “Beppe Grillo non vuole fare un governo con noi, ma sa già che vuole il Cavaliere in carcere”. L’avvocato Niccolò Ghedini, la famiglia, e Berlusconi stesso si aspettano che i pm di Napoli vadano fino in fondo alla logica – come la chiamano nel Pdl – dell’agguato, del rogo: in galera! In galera! Ma la novità forte è che il Parlamento, l’Aula, non solo la commissione per le Autorizzazioni, stavolta ha una maggioranza ben disposta, “incline ad assecondare il berlusconicidio perfetto”, come dice Angelino Alfano, con le forze di Grillo schierate e pronte al ricatto morale anche nei confronti dell’ala con maggiore uso di mondo del Pd (“noi garantisti siamo sempre meno”, dice il senatore Nicola Latorre).

    Nel partito di Bersani il problema se lo pongono, e per qualcuno è una grana considerevole: “Non mi pare che arriveremo a una richiesta di arresto”, forse spera Enrico Letta. E il vicesegretario del Pd è diplomatico, necessariamente cauto, maneggia un ordigno esplosivo: “Ma se per caso dovessimo arrivarci, studieremo le carte e decideremo”. Risposta standard, o quasi, riflette l’incertezza del quadro politico. La miscela è instabile, non si sa nemmeno se ci sarà un governo e da quali forze sarà composto. Giorgio Napolitano ha definito “aberrante” l’ipotesi di manovre tendenti a mettere fuori gioco Berlusconi “per via giudiziaria”. E nel Pd sono consapevoli di ogni implicazione e rischio, malgrado i riflessi profondi alla fine emergano: “Se c’è, il reato è gravissimo”, dice il vice capogruppo in Senato Luigi Zanda.

    La cautela formale del Pd è dovuta a ragioni ovvie, e non solo perché la richiesta della procura di Napoli non si è ancora materializzata. Venerdì si eleggerà il presidente della Camera, forse anche quello del Senato (con qualche difficoltà in più), e a breve inizieranno le consultazioni formali, al Quirinale, per la formazione del governo. Al di là delle dichiarazioni pubbliche, della forte presa di posizione di Bersani, il suo “col Caimano mai”, tutti sanno che le vie della politica sono in realtà infinite e che, qualora Bersani fallisse dopo aver ricevuto un incarico esplorativo, Napolitano forse tenterebbe ancora un’altra strada, fino all’ultimo minuto possibile, pur di dare un governo purchessia all’Italia povera e matta venuta fuori dalle lezioni del 24 e 25 febbraio scorsi. Da qui la cautela di molti, e persino la preoccupazione dei vertici del Pd (e del Quirinale), perché come dice Zanda “Berlusconi non è un imputato qualsiasi, è il capo di un partito, un rilevante personaggio pubblico”. Insomma la richiesta di arresto per il Caimano, nel Parlamento più incline alle manette degli ultimi vent’anni, avrebbe l’effetto di determinare gli orientamenti, gli equilibri delicatissimi della legislatura, avrebbe gravide conseguenze sullo stallo istituzionale venuto fuori dalle urne.

    “Una bomba doppia”, ammette Pippo Civati, che spiega: “Il cortocircuito sarebbe bestiale. Berlusconi dovrebbe essere sottoposto alla valutazione dell’Aula su un reato, quello sulla compravendita dei senatori, collegato con la politica, con le stesse vicende parlamentari, con la caduta di Romano Prodi nel 2008, cioè dell’uomo che intanto è forse il principale candidato per la successione di Napolitano al Quirinale”. Un cortocircuito “bestiale”, appunto. Per il Pdl sarebbe l’ultima, fatale, incursione della magistratura nel sistema politico italiano, e questo il segretario Angelino Alfano ieri è andato a spiegarlo anche a un irritato Giorgio Napolitano. Ma il partito berlusconiano, come il suo vecchio leader, appare intontito, quasi incapacitato, fuori dai giochi, isolato e ormai in balia di decisioni altrui. Così spetta al Pd recitare tutti i ruoli nel presepio della politica. La maggioranza del Pd voterebbe certamente “sì” all’arresto del nemico atavico, il belzebù Berlusconi. Ma nella cabina di regia, tra le personalità più smaliziate e con maggiore uso di mondo, lì dove si agitano sempre i soliti baffi di Massimo D’Alema, temono pure quello che chiamano “l’effetto del Caimano rovesciato”, cioè un Berlusconi che fa la campagna elettorale agli arresti, vittima, “martire di una magistratura impazzita”.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.