La tregua prima della fumata

Matteo Matzuzzi

Doveva essere il grande scontro del Conclave, dicevano gli osservatori più attenti nei giorni immediatamente successivi alla rinuncia di Benedetto XVI al ministero petrino. Da una parte la vecchia guardia wojtyliana guidata da Angelo Sodano, decano del collegio cardinalizio e già segretario di stato negli ultimi quindici anni di pontificato di Giovanni Paolo II. Dall’altra il nuovo corso impersonato da Tarcisio Bertone, l’arcivescovo di Genova chiamato a Roma da Joseph Ratzinger dopo il suo primo anno di pontificato. La sfida dei due piemontesi: il diplomatico astigiano contro il salesiano di Romano Canavese.

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    Doveva essere il grande scontro del Conclave, dicevano gli osservatori più attenti nei giorni immediatamente successivi alla rinuncia di Benedetto XVI al ministero petrino. Da una parte la vecchia guardia wojtyliana guidata da Angelo Sodano, decano del collegio cardinalizio e già segretario di stato negli ultimi quindici anni di pontificato di Giovanni Paolo II. Dall’altra il nuovo corso impersonato da Tarcisio Bertone, l’arcivescovo di Genova chiamato a Roma da Joseph Ratzinger dopo il suo primo anno di pontificato. La sfida dei due piemontesi: il diplomatico astigiano contro il salesiano di Romano Canavese. Il primo alla testa di un gruppo deciso a riprendere in mano – attraverso porporati a lui riconducibili, come il prefetto della Congregazione per le chiese orientali Leonardo Sandri e quello per l’Evangelizzazione dei popoli, Fernando Filoni – la guida della curia; il secondo determinato invece a proseguire sulla strada di accentramento del controllo sulla curia percorsa sotto Benedetto XVI, magari puntando sul profilo “non politico” del biblista di fama internazionale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio per la cultura e ideatore (su spinta del Papa) del Cortile dei gentili, lo spazio di incontro e confronto tra credenti e non credenti.

    Poi, con l’inizio delle Congregazioni generali, lo scorso 4 marzo, le differenze (profonde) tra i due si sono progressivamente smussate, facendo intendere ai più che tra un conciliabolo e l’altro in Vaticano era nato un patto di non belligeranza: i veri avversari sono altrove. Così, durante l’omelia della Missa pro Eligendo Pontifice in San Pietro di ieri, il cardinale Sodano ha suggerito di smussare gli spigoli: “Tutti noi dobbiamo collaborare a edificare l’unità della chiesa, poiché per realizzarla è necessaria la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro”. Un invito valido erga omnes. Si è soffermato, il decano, sul passaggio della lettera agli Efesini in cui san Paolo raccomanda: “Comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace”. Nessuna richiesta di perdono per i contrasti del passato (Ratzinger aveva denunciato le divisioni che deturpano il volto della chiesa), ma un accordo per resistere a quello che viene vissuto in curia come il pericolo maggiore: l’arrivo di un esterno mosso dalla voglia di riformare profondamente il sistema di governo della chiesa.

    Un Papa che decida di azzerare tutti gli incarichi in curia (dopo il consueto e tradizionale periodo di conferma “donec aliter provideatur”) e porti quella ventata d’aria nuova che, d’altra parte, molti porporati auspicano. Un asse che avrebbe trovato nell’arcivescovo di San Paolo del Brasile, Odilo Pedro Scherer, l’uomo su cui costruire la resistenza alla cordata che spinge per fare pulizia dell’attuale establishment vaticano. Un blocco che poggerebbe su molti esponenti di curia, legati sia alla gestione Sodano, sia a quella bertoniana. Il fronte, però, non è unito, come dimostra l’attivismo del prefetto della congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, il cardinale João Braz de Aviz (brasiliano come Scherer), che ha attaccato duramente la condotta bertoniana della curia degli ultimi anni.

    Sull’arcivescovo di San Paolo, 63 anni, di origini tedesche, ci sono anche le perplessità del suo predecessore alla guida della grande diocesi brasiliana, il cardinale Cláudio Hummes. Un giudizio non da poco, quello di Hummes, l’uomo che nel 2006 fu chiamato da Benedetto XVI a Roma per guidare l’importante congregazione per il clero. Il vaticanista Sandro Magister ha scritto che Scherer è “il candidato perfetto di questa manovra tutta romana e curiale”. Il porporato brasiliano, infatti, non gode neppure del sostegno di tutti i propri connazionali: due anni fa, chiamati a scegliere il capo della Conferenza episcopale locale, gli fu preferito il cardinale Damasceno Assis. L’obiettivo della “manovra”, più che portare Scherer al Soglio petrino, è di trovare un compromesso con i riformatori su un nome gradito a entrambe le parti.

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    • Matteo Matzuzzi
    • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.