La versione di Patuelli
Non prendetevela con i banchieri. Così la politica incerta frena le imprese
Con le elezioni politiche alle spalle, il sistema bancario italiano è tornato a essere oggetto di critiche trasversali. Gli istituti sono accusati di non elargire il credito che sarebbe necessario alle aziende per divincolarsi da una crisi economica che porta a centinaia di chiusure giornaliere di attività imprenditoriali. Il presidente dell’Associazione bancaria italiana, Antonio Patuelli, in un colloquio con il Foglio, respinge le critiche ma ammette che una delle principali sfide del suo mandato sarà appianare la “discrasia” tra quello che l’opinione pubblica nazionale pensa delle banche, visione non positiva, e quello che pensano i clienti che ogni giorno si presentano agli sportelli, invece in larga parte soddisfatti, secondo Patuelli che è stato nominato all’Abi il 31 gennaio dopo le dimissioni di Giuseppe Mussari.
Con le elezioni politiche alle spalle, il sistema bancario italiano è tornato a essere oggetto di critiche trasversali. Gli istituti sono accusati di non elargire il credito che sarebbe necessario alle aziende per divincolarsi da una crisi economica che porta a centinaia di chiusure giornaliere di attività imprenditoriali. Il presidente dell’Associazione bancaria italiana, Antonio Patuelli, in un colloquio con il Foglio, respinge le critiche ma ammette che una delle principali sfide del suo mandato sarà appianare la “discrasia” tra quello che l’opinione pubblica nazionale pensa delle banche, visione non positiva, e quello che pensano i clienti che ogni giorno si presentano agli sportelli, invece in larga parte soddisfatti, secondo Patuelli che è stato nominato all’Abi il 31 gennaio dopo le dimissioni di Giuseppe Mussari (ex manager del Monte dei Paschi di Siena sotto inchiesta). “Dobbiamo essere consapevoli che le banche italiane prestano molto di più di quello che raccolgono, il 120 per cento come dato aggregato”, dice Patuelli. “Essendo la banca un commerciante di denaro, che deve reperire anche sui mercati internazionali, diventati rigidi, non sono le banche perfide a non volere prestare soldi – dice –, anzi il più delle volte prestiamo a imprese nelle quali l’imprenditore non sempre si impegna quanto la banca. Non possono essere solo le banche a scommettere sulle imprese deboli. Anche la proprietà dell’azienda deve rimboccarsi le maniche”.
Per questo Patuelli ritiene “molto equilibrato” il ragionamento del presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, quando parla di una convergenza necessaria tra industria e banca. Approccio comune che avrebbe però come presupposto una strategia nazionale: “E’ la prima crisi che questo paese vive con questa drammaticità senza una politica industriale, e nel pieno di una contemporanea crisi politica che si trascina da due anni. Ci aspettiamo – dice il presidente dell’Abi – che il nuovo Parlamento trovi una politica economica che, senza ritornare all’assistenzialismo, si ponga il problema dello sviluppo agendo sul peso del fisco, su lavoro, imprese e famiglie, e sull’approvvigionamento energetico”.
L’avere concesso crediti oltre le possibilità stesse degli istituti bancari, come ha evidenziato Patuelli, si riflette sui bilanci con l’aumento delle sofferenze e, più in generale, dei crediti deteriorati. In sostanza, le banche prestano ma non è detto che rivedranno tornare il denaro in cassa: a gennaio le sofferenze totali del sistema sono arrivate a 126 miliardi di euro al punto che, secondo Banca d’Italia, dovranno aumentare le riserve a copertura. Da qui, secondo diversi osservatori, la necessità di una “bad bank” dove fare confluire questi “prestiti non performanti” e ripulire i bilanci. L’ufficio studi di Mediobanca ha individuato due strade: la creazione di una società privata che li gestisca (come hanno fatto le banche di credito cooperativo) oppure una soluzione “alla spagnola” con un fondo finanziato dal Meccanismo europeo di stabilità per almeno 18 miliardi di euro (in Spagna fino a 90).
Per Patuelli non c’è alcuna necessità: “Le banche italiane non sono nella condizione di quelle spagnole perché, prima di tutto, lo stato non ha messo un centesimo a fondo perduto in una banca italiana. L’ultima volta è avvenuto con i fondi di dotazione per le banche pubbliche, vent’anni fa. Quella delle banche italiane è una situazione consolidata e tuttora migliore di altre. Quindi che ci sia una necessità, generale e astratta, di una bad bank in Italia, non l’avvertiamo noi come Abi e non ci risulta che l’avvertano né la Banca d’Italia né il Tesoro”. Patuelli non mette veti alle 669 banche dell’Abi, in un sistema bancario “estremamente concorrenziale”: “Se i soggetti privati, nell’ambito della loro responsabilità, ritengono di avviare un percorso di questo genere, che può essere anche un business, si tratterà di iniziative private, come molte altre che riguardano la cessione di crediti non performanti. Ma non sarebbe un’iniziativa di sistema”, conclude Patuelli.
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