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Confessare Gesù, o la mondanità
Camminare, edificare, confessare. Attorno a questi tre verbi si è svolta la prima, breve ma intensa omelia di Papa Francesco tra gli affreschi della Cappella Sistina, a poco meno di ventiquattro ore dalla sua elezione. Nessun testo scritto, niente latino: parla a braccio e in italiano, il Papa, e lo fa non seduto sul trono che definisce la sua autorità, ma dall’ambone da cui (come in qualunque chiesa del mondo, di città o di campagna) si pronuncia la parola di Dio. Ammonisce, Francesco, che senza la confessione in Gesù Cristo noi tutti “diventiamo una ong pietosa”. “Quando non ci si confessa a Gesù, ci si confessa alla mondanità, al demonio”, dice in modo chiaro .
Leggi I territori del Diavolo di Piero Vietti - Leggi Francesco e il "coraggio di edificare la chiesa sul sangue del Signore"
Camminare, edificare, confessare. Attorno a questi tre verbi si è svolta la prima, breve ma intensa omelia di Papa Francesco tra gli affreschi della Cappella Sistina, a poco meno di ventiquattro ore dalla sua elezione. Nessun testo scritto, niente latino: parla a braccio e in italiano, il Papa, e lo fa non seduto sul trono che definisce la sua autorità, ma dall’ambone da cui (come in qualunque chiesa del mondo, di città o di campagna) si pronuncia la parola di Dio. Ammonisce, Francesco, che senza la confessione in Gesù Cristo noi tutti “diventiamo una ong pietosa”. “Quando non ci si confessa a Gesù, ci si confessa alla mondanità, al demonio”, dice in modo chiaro . E’ il Cristo crocifisso il centro di tutto, “l’unica gloria”. Solo camminando “con la croce del Signore”, la chiesa “andrà avanti”. Ed esorta, il Papa, i suoi “fratelli cardinali” a camminare, a farsi degni apostoli.
Ci vuole zelo apostolico, e quindi “uscire, andare verso chi ha bisogno, ad annunciare il Vangelo nelle periferie”, spiega il cardinale Fernando Filoni, già prefetto della congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, raccontando l’esortazione che Francesco ha rivolto ai porporati dopo l’elezione. Lui, il gesuita argentino figlio di un ferroviere astigiano, quel modello di chiesa missionaria l’ha messo in pratica per anni a Buenos Aires: l’evangelizzazione non si fa stando “seduti in curia o in canonica ad aspettare che la gente venga da noi”, diceva in un’intervista a 30Giorni qualche anno fa. “Bisogna annunciare il Vangelo andando a trovare la gente, a portare la parola di Dio”, aggiungeva. Senza orpelli e gioielli, ma solo con la croce, come quella che Bergoglio porta al collo. Non è d’oro, come la tradizione richiederebbe, ma di ferro. Semplice, di poco valore.
Alla chiesa non serve altro per quella che è la sua missione principale: fare “tutto il possibile” per avvicinare il popolo a Dio. “Se la chiesa segue il suo Signore, esce da se stessa, con coraggio e misericordia e non rimane chiusa nella propria autoreferenzialità. Il Signore opera un cambiamento in colui che gli è fedele, gli fa alzare lo sguardo da se stesso. Questa è la missione, questa è la testimonianza”, diceva a 30Giorni.
Non ama, Jorge Bergoglio, gli uomini soli al comando. Per lui è fondamentale la collegialità, la chiesa orizzontale, come auspicato da quella parte del Collegio cardinalizio rappresentata dai tedeschi Walter Kasper e Karl Lehmann.
Lo si è visto mercoledì sera, quando al suo fianco nella Loggia delle benedizioni ha voluto Agostino Vallini, “il mio cardinale vicario” per la chiesa di Roma, “che è quella che presiede nella carità tutte le chiese”, ha detto Francesco richiamando l’incipit della Lettera di Ignazio d’Antiochia, l’Illuminatore venerato dai cristiani ortodossi e cattolici, ai Romani. Una collegialità che si è percepita già dai primi gesti solenni e liturgici, come la scelta di celebrare messa in Sistina dall’altare mobile, rivolto verso il popolo, rappresentato nella circostanza dai cardinali elettori. Ieri, sempre in quel contesto, aveva deciso di ricevere l’obbedienza dei porporati stando in piedi, senza sedersi sul trono papale che pure era stato collocato ai piedi dell’altare.
La semplicità di Francesco è quella del pastore che soffre tutto ciò che distoglie l’attenzione dal perseguimento della legge suprema, “la salvezza delle anime”. In Argentina ha fatto molto discutere la scelta di incentivare a ogni costo la celebrazione di nuovi battesimi, accelerando i tempi e mostrando più flessibilità nell’accertamento dei requisiti di preparazione per l’accostamento al primo sacramento. Anche se il matrimonio dei genitori è in crisi, il battesimo dei figli non va ritardato, diceva l’ormai ex arcivescovo di Buenos Aires: ciò significherebbe “chiudere le porte della chiesa”. L’arbitrio non può essere nelle mani del prete o del vescovo: a volte, è meglio dar retta più alla “pietà popolare” che alle leggi canoniche. “Dopotutto, il sensus fidei della gente comune coglie la realtà dei sacramenti più di tanti specialisti”, chiariva il futuro Pontefice.
Una semplicità che ha contrassegnato tutti gli appuntamenti del primo giorno da Papa di Jorge Bergoglio. Dopo aver deciso, mercoledì sera, di tornare a Santa Marta in pulmino e non con la macchina riservata al Pontefice, ieri ha fatto sapere di primo mattino ai cerimonieri che l’appuntamento con il sarto avrebbe dovuto aspettare. Prima c’era da rispettare un impegno preso la sera precedente con la folla che gremiva piazza San Pietro: l’omaggio alla Vergine a Santa Maria Maggiore. Un momento breve, intenso, raccolto. Il Papa, salutato da studenti curiosi pronti a entrare a scuola, entrava nella basilica con un piccolo mazzo di fiori in mano. Una volta uscito, non è tornato subito a Santa Marta, ma ha fatto sosta alla casa del Clero – dove ha soggiornato prima di entrare in Conclave – in via della Scrofa, dove ha recuperato di persona i bagagli. Prima di andarsene, tra lo sguardo stupefatto dei presenti, il coltissimo gesuita che chiede ai suoi fedeli di destinare il ricavato delle offerte ai poveri ha pagato il conto “per dare il buon esempio”, ha detto divertito il portavoce della Sala Stampa vaticana, Padre Federico Lombardi, conversando con i giornalisti.
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