La voce dell'austerità

Fino a quando i mercati capiranno Roma? Parla il capo economista di Merkel

Giovanni Boggero

“I mercati riconoscono senz’altro la democraticità del risultato del voto italiano, ma se gli sforzi riformatori dell’Italia dovessero interrompersi, l’intera Eurozona verrebbe a trovarsi in una situazione molto difficile”. Il monito, espresso in una conversazione con il Foglio, viene dal professor Christoph Schmidt, membro del Consiglio dei “cinque saggi economici” (Wirtschaftsweisen), l’organo consultivo del governo tedesco per la politica economica.

    “I mercati riconoscono senz’altro la democraticità del risultato del voto italiano, ma se gli sforzi riformatori dell’Italia dovessero interrompersi, l’intera Eurozona verrebbe a trovarsi in una situazione molto difficile”. Il monito, espresso in una conversazione con il Foglio, viene dal professor Christoph Schmidt, membro del Consiglio dei “cinque saggi economici” (Wirtschaftsweisen), l’organo consultivo del governo tedesco per la politica economica. Entrato a farne parte nel 2009 su nomina del presidente della Repubblica, dal 5 marzo scorso il professor Schmidt ne è anche il nuovo presidente. Ad aver colpito la stampa tedesca sono state le parole con le quali, poco dopo il suo insediamento, ha risposto al capogruppo liberale al Bundestag, Rainer Brüderle, il quale era tornato a minacciare l’uscita del nostro paese dall’euro: “Un’uscita dell’Italia dall’Eurozona significherebbe la fine dell’Eurozona stessa”, ha scandito in un’intervista al quotidiano conservatore Welt. Oggi, parlando con il Foglio, Schmidt si spinge oltre, fa capire che legare le sorti della moneta unica a quelle del nostro paese non equivale a dare carta bianca a nostre eventuali richieste, tutt’altro: “Non sono importanti i colori della coalizione, ma il programma di governo. Un esecutivo che proseguisse le riforme di Monti aiuterebbe senz’altro”. Altrimenti, appunto, l’Italia cadrebbe, e con lei tutto il progetto comunitario. Mentre lo spread tra Btp e Bund ieri è tornato a salire a 319 punti, dal consigliere della Merkel arriva dunque un’iniezione di realismo più che una dose di altruismo a buon mercato.

    Cinquantuno anni, doppia cittadinanza tedesca e australiana, direttore dell’istituto di ricerca economica di Essen (Rwi), Schmidt pare comunque volersi fare mediatore all’interno del Consiglio tra le posizioni “rigoriste” e quelle di chi è aperto a un maggior coinvolgimento tedesco nella soluzione della crisi. Spiega di non riuscire a immaginarsi una spaccatura dell’Eurozona. “In un’Unione monetaria è importante che esista un’àncora di stabilità che faccia da garante della valuta nei confronti dei creditori. Oggi è la Banca centrale europea. Anche in un’Unione di cui facciano parte soltanto Grecia, Spagna, Portogallo e Cipro, chi altri potrebbe mai svolgere questo ruolo?”, si chiede Schmidt. Pur sottolineando che Francoforte starebbe muovendosi “ai limiti” del suo mandato, e ponendosi quindi in dissenso con gli ultra-rigoristi della Bundesbank che non hanno avallato le ultime mosse espansive di Draghi, l’economista ricorda anche che la Bce “è l’unica istituzione effettivamente funzionante nell’Eurozona. Ha assunto molti compiti che, ragionevolmente, non si sarebbe dovuta accollare. Ma d’altronde, se la politica non reagisce, tocca alla Bce agire. Stando ai dettami dell’economia sociale di mercato potrà anche essere sbagliato, ma quale sarebbe l’alternativa?”.

    Con Mario Draghi nel ruolo di garante, la strada obbligata rimane comunque quella del recupero di competitività. A tal fine, spiega Schmidt, “non esiste una istituzione tedesca in grado di influenzare il tasso di inflazione e dare ossigeno all’Europa del sud. La speranza che un aumento dei salari tedeschi possa risolvere i problemi altrove è del tutto sopravvalutata. Un aumento generalizzato dei salari, svincolato dalla produttività, produrrebbe soltanto maggiore disoccupazione nella Repubblica federale”. Nessun apprezzamento anche per il cavallo di battaglia di Mario Monti (e non solo suo), cioè l’ipotesi di “scorporare” la spesa per investimenti pubblici dal computo del deficit, di cui si discuterà oggi al Consiglio Ue di Bruxelles: “E’ una regola che avevamo anche noi in Germania e non ha avuto effetti. Il concetto di spesa per investimenti è talmente labile da poter essere esteso a qualsiasi voce di spesa”.
    Quella di Schmidt, però, non è una chiusura totale alle richieste italiane. Mantenendo fede al dogma merkeliano della condizionalità – aiuti solo in cambio di riforme –, il professore rilancia una proposta formulata dai cinque saggi già nel 2012. Si tratta del cosiddetto “fondo di riscatto”, o Schuldentilgungsfonds, un surrogato di Eurobond che prevede la messa in comune dei debiti pubblici nazionali eccedenti il 60 per cento del pil. Finora la cancelliera non ha mai sostenuto pubblicamente la proposta, adducendo difficoltà di ordine giuridico alla sua attuazione. Ma, assicura Schmidt, “il Consiglio dei cinque saggi continuerà a spiegare questa ricetta a tutti i suoi interlocutori, compresa la Merkel”.