Papa Francesco, il gesuita delle coincidenze

Antonio Gurrado

L’ascesa al soglio petrino di Jorge Mario Bergoglio è puntellata da significative coincidenze, volute o casuali che siano. La più evidente è quella che riguarda il nome scelto dal nuovo Papa, Francesco. È improbabile che il colto gesuita non abbia pensato alle circostanze dell’approvazione della regola francescana nel 1209. La “Legenda maior” di San Bonaventura riferisce infatti che l’allora pontefice Innocenzo III ricevette in sogno dallo Spirito Santo la visione della basilica di San Giovanni Laterano in procinto di cadere in rovina, e di un poverello che la sosteneva con le proprie spalle impedendole di venire giù.

    L’ascesa al soglio petrino di Jorge Mario Bergoglio è puntellata da significative coincidenze, volute o casuali che siano. La più evidente è quella che riguarda il nome scelto dal nuovo Papa, Francesco. È improbabile che il colto gesuita non abbia pensato alle circostanze dell’approvazione della regola francescana nel 1209. La “Legenda maior” di San Bonaventura riferisce infatti che l’allora pontefice Innocenzo III ricevette in sogno dallo Spirito Santo la visione della basilica di San Giovanni Laterano in procinto di cadere in rovina, e di un poverello che la sosteneva con le proprie spalle impedendole di venire giù. Si tratta anche della scena di un celeberrimo affresco di Giotto in Assisi: il poverello è chiaramente San Francesco e la basilica che cade simboleggia la Chiesa di Roma, in quanto all’epoca San Giovanni in Laterano aveva l’importanza centrale che in seguito avrebbe assunto la basilica di San Pietro. A Francesco fu affidato il ruolo di rinnovare profondamente e salvare una cristianità in crisi mentre era ancora in vita un Papa che non era riuscito nello stesso intento. La situazione, chissà, può richiamare quella odierna.

    Meno eclatante ma sicuramente ben presente alla mente di un vescovo di Buenos Aires è il precedente storico dell’acerrima rivalità fra gesuiti e francescani in Sudamerica. Dopo che nel XVI secolo ebbero conquistato le coste del continente, gli spagnoli cercarono l’aiuto degli ordini religiosi per penetrare verso le terre centrali garantendosi il favore degli indigeni per mezzo della conversione. I primi a insediarsi furono i francescani ma con poca fortuna. A inizio Seicento li soppiantarono i meglio organizzati gesuiti, che fondarono la provincia del Paraguay (comprendente anche territori argentini e brasiliani) secondo un capillare regime autonomo: oltre a convertirli al Cristianesimo, i gesuiti insegnarono agli indigeni a costruire una società basata su proprietà pubblica, lavoro obbligatorio e disciplina militare, trasformandoli così da selvaggi in stanziali. I francescani furono severi detrattori delle reducciones paraguaiane, accusando per primi i gesuiti di esercitare una teocrazia dispotica, di arricchirsi alle spalle degli indigeni e soprattutto di insubordinazione nei confronti della corona di Spagna. Il Paraguay ricadeva nella diocesi di Buenos Aires, il cui vescovo tentò di interdire i reverendi padri per ridurne il potere. Per tutta risposta i gesuiti impedirono l’accesso alle missioni agli ispettori diocesani e al vescovo in persona; stando ad alcune fonti dell’epoca, addirittura guidarono falangi di indigeni contro i distaccamenti dell’esercito imperiale giunti in soccorso del vescovado. I gesuiti dovettero abbandonare il Paraguay nel 1767, quando la loro società fu espulsa dalla Spagna e dalle sue colonie. Pochi anni dopo la Compagnia di Gesù venne sciolta da Clemente XIV, l'ultimo pontefice francescano.

    La scelta del nome Francesco da parte di un gesuita già vescovo di Buenos Aires intende forse anche ricomporre quest’antica frattura alla radice del Cristianesimo latinoamericano. Infine una curiosità legata alle prime parole del Papa, che potrebbe fare la felicità di complottisti e apocalittici pronti a leggere nella sua elezione il compimento della profezia dello pseudo-Malachia secondo la quale questo pontefice sarà l’ultimo. Papa Francesco non ha certo aiutato dicendo Urbi et Orbi che i cardinali sono andati a prenderlo “quasi alla fine del mondo”. La fine del mondo è il soggetto di un raggelante sonetto del Belli, “Er giorno der giudizzio”, che inizia: “Cquattro angioloni co le tromme in bocca / se metteranno uno pe cantone / a ssonà: poi co ttanto de voscione / cominceranno a ddì: ffora a cchi ttocca!”. Chissà se Papa Francesco conosce la terzina conclusiva: “All’urtimo uscirà ’na sonajjera / d’angioli, e ccome si ss’annassi a lletto, / smorzeranno li lumi, e bbona sera”. Buonasera.