Dopo le minacce manettare

Il Pd e Pdl si fanno più cauti e gli ambasciatori riprendono a parlarsi

Salvatore Merlo

Di prevalenza tacciono, perché il presepio della politica è già sufficientemente agitato e perché i canali diplomatici si sono improvvisamente aperti, e in ogni direzione, anche del Pdl, per eleggere i presidenti di Camera e Senato. Meglio restare coperti. E dunque non si sente pronunciare nemmeno una parola stonata dalle parti di Enrico Letta, Dario Franceschini, Beppe Fioroni, Massimo D’Alema. Cautela e diplomazia, tutto sembra fermo, eppure tutto si muove: è lì, attorno a questi uomini, che si condensano i dubbi, che prendono forma le incertezze e i timori per la strategia delle manette e dell’abbraccio con Grillo, per il programma adottato da un Pier Luigi Bersani “poco lucido”.

Leggi Sardo dice perché Bersani ha i numeri per governare e convincere Napolitano di Alessandra Sardoni

    Di prevalenza tacciono, perché il presepio della politica è già sufficientemente agitato e perché i canali diplomatici si sono improvvisamente aperti, e in ogni direzione, anche del Pdl, per eleggere i presidenti di Camera e Senato. Meglio restare coperti. E dunque non si sente pronunciare nemmeno una parola stonata dalle parti di Enrico Letta, Dario Franceschini, Beppe Fioroni, Massimo D’Alema. Cautela e diplomazia, tutto sembra fermo, eppure tutto si muove: è lì, attorno a questi uomini, che si condensano i dubbi, che prendono forma le incertezze e i timori per la strategia delle manette e dell’abbraccio con Grillo, per il programma adottato da un Pier Luigi Bersani “poco lucido”. E’ grazie a loro, e al Quirinale attorno al quale si sono stretti, se da ieri gli ambasciatori del Pd hanno ripreso a parlare con quelli del Pdl. Non sono piaciute né a Letta né a Franceschini le parole di Maurizio Migliavacca, il braccio destro del segretario che aveva fatto intuire, lisciando Grillo per il verso giusto, che qualora arrivasse una richiesta di arresto per il Cav. il Pd avrebbe votato “sì”. Così da una parte si è schierato il Pd di Napolitano, composto da quelli che non soffrono la sindrome dell’inciucio, non vogliono consumare vendette né spargere sangue, gruppo minoritario ma pronto a scontrarsi con la maggioranza di Bersani. Sintetizza Luciano Violante, da una posizione quirinalizia: “C’è chi sostiene che Berlusconi sia un soggetto che abitualmente agisce nell’illegalità e che dunque deve essere colpito”.

    Nei giorni scorsi le parole di Migliavacca sul sì all’arresto del Cavaliere sono apparse spropositate e avventate ad ampi settori interni al Pd, ambienti sempre più critici nei confronti di Bersani: “Un appiattimento sfacciato sulle posizioni di Grillo. Quasi un’istigazione a delinquere”, un invito alla magistratura militante perché issasse subito le forche. D’altra parte il giorno precedente alle dichiarazioni del braccio destro di Bersani, il Foglio aveva anticipato il tema e aveva chiesto al vicesegretario Enrico Letta come secondo lui il Pd avrebbe dovuto votare nell’eventualità di una richiesta d’arresto avanzata contro Berlusconi. A differenza di Migliavacca, Letta si era dimostrato estremamente cauto, e aveva impostato la questione sotto il profilo del massimo garantismo giuridico e del massimo equilibrio politico. Difatti non è un caso se le dichiarazioni del grand commis di Bersani – mai smentite dal segretario – il giorno dopo hanno avuto un effetto deflagrante, una piccola bomba nelle stanze di Largo del Nazareno, la sede del partito, e sono state interpretate anche come uno sgarbo (e preludio di una pesante rottura) con Giorgio Napolitano, il presidente contemporaneamente impegnato a difendersi dagli attacchi di Repubblica e Fatto, oltre che di Grillo, proprio per aver escluso l’ipotesi di una soluzione “giudiziaria” al problema Berlusconi.

    Spiega Violante: “Secondo una corrente di pensiero Berlusconi va colpito con ogni mezzo perché la sua permanenza nel sistema politico produce corruzione della democrazia”. E questa è la posizione delle manette, è la strategia dell’arresto, la maschera indossata negli ultimi giorni da un Bersani che di Grillo sembra voler riprodurre le insofferenze e le predilezioni – ieri, persino l’ambientalismo: “Faremo la crescita con la green economy” – come se così potesse strappare al clown genovese un sorriso, una carezza, un voto di fiducia in Senato… “Io invece sono d’accordo con il presidente Napolitano”, dice Violante, testimone di una fase complicatissima dentro il suo partito, diviso, agitato da mille riunioni che fino a ieri sera sembravano turbinare a vuoto. Oggi è previsto che il Pd voti scheda bianca sia per il presidente del Senato sia per quello della Camera (“io i candidati di Grillo però non li voto”, dice Francesco Boccia). Si mormora di un accordo possibile con il Pdl, effetto del rafforzamento delle voci contrarie al patto delle manette. Un accordo, in Senato, sul nome di Anna Finocchiaro, l’ex capogruppo. Sarebbe, anche questo, un messaggio distensivo rivolto al Quirinale dove si erano manifestati riservatamente non pochi timori sull’opportunità di assegnare a un grillino la seconda carica dello stato.

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    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.