Schede bianche

Il Pdl prova a scoprire le carte del Pd (sempre più preoccupato da Bersani)

Salvatore Merlo

La seduta inaugurale del Parlamento si è svolta in un clima di funerea agitazione, i presidenti di Camera e Senato non sono stati eletti e il destino della legislatura appena iniziata appare sempre più incerto. Tutto sembra ormai ruotare intorno alla prossima elezione del capo dello stato. Pier Luigi Bersani ha forse rinunciato mesto a inseguire Grillo – “quelli sono inafferrabili”, dice il neo deputato Pippo Civati – e appare politicamente sconfitto, malgrado Nichi Vendola lo spinga (quasi l’unico) a votare a Montecitorio o a Palazzo Madama un candidato di Grillo.

    La seduta inaugurale del Parlamento si è svolta in un clima di funerea agitazione, i presidenti di Camera e Senato non sono stati eletti e il destino della legislatura appena iniziata appare sempre più incerto. Tutto sembra ormai ruotare intorno alla prossima elezione del capo dello stato. Pier Luigi Bersani ha forse rinunciato mesto a inseguire Grillo – “quelli sono inafferrabili”, dice il neo deputato Pippo Civati – e appare politicamente sconfitto, malgrado Nichi Vendola lo spinga (quasi l’unico) a votare a Montecitorio o a Palazzo Madama un candidato di Grillo. Il segretario si trova spaesato, inchiodato a quell’agenda in otto punti scritta per piacere a Grillo ma incompatibile con qualunque altra forza politica. Così nel suo partito ora c’è chi vorrebbe rimuoverlo, impedirgli di essere incaricato dal Quirinale. Ma se il Pd piange, il Pdl non ride. Silvio Berlusconi non sta meglio del suo avversario. Il Cavaliere ieri è uscito dall’ospedale, ha chiesto il trasferimento dei suoi processi di Milano a Brescia e forse ha guadagnato un po’ di tempo sui magistrati, ma non ha una strategia in Parlamento. “Abbiamo un’urgenza su tutte: salvare il soldato Berlusconi”, dice l’ex ministro Raffaele Fitto quando gli si chiede chi sono i candidati del Pdl per la presidenza del Senato e della Camera. Dunque il Pdl ha ormai un solo orizzonte, la difesa del Cavaliere dall’assedio giudiziario (il 25 marzo la sentenza Ruby in primo grado, tra settembre e dicembre la sentenza in Cassazione nel processo Mediaset). Dice Daniela Santanché: “O si fa l’accordo col Pd, e noi partecipiamo anche all’elezione del presidente della Repubblica, oppure si vota a giugno”, cioè prima della sentenza Mediaset che renderebbe, se confermata, Berlusconi ineleggibile. Ma votare a giugno è quasi impossibile (a meno che Giorgio Napolitano non si dimetta prima della scadenza del suo settennato, prima del 15 aprile, cosa tuttavia improbabile, malgrado al presidente l’ipotesi sia stata prospettata). Dunque in realtà il partito del Cavaliere cerca di trattare, lo ha fatto capire anche Berlusconi in una nota dura col Pd ma che allude a “un governo capace di assumere immediatamente provvedimenti efficaci”.

    Ha detto Berlusconi: “Essendo stata respinta irresponsabilmente dal Pd la nostra ripetuta disponibilità a farci carico delle responsabilità di garantire un governo al paese, noi ci chiamiamo fuori da ogni trattativa di spartizione delle principali cariche istituzionali”. L’invito è chiaro, è rivolto all’area che dentro il Pd ormai osteggia Bersani e – forse in armonia col Quirinale – disegna scenari di larghe intese. “Ma è molto difficile che si possa chiudere un accordo di sistema, complessivo, nei prossimi due giorni cioè prima dell’elezione dei presidenti delle Camere”, dice Peppino Calderisi, deputato del Pdl. E Calderisi si riferisce alla catena di implicazioni che collega l’elezione dei presidenti di Camera e Senato con la formazione del nuovo governo e la nomina del presidente della Repubblica. Come dire: oggi si eleggono i presidenti di Montecitorio e Palazzo Madama alla meno peggio, il resto si vede dopo. D’altra parte gli uomini di Berlusconi, in realtà, sarebbero persino disposti ad eleggere i candidati di Bersani (Dario Franceschini alla Camera, Anna Finocchiaro al Senato) pur di partecipare alle trattative per il Quirinale e mettersi nelle condizioni di opporre un veto all’elezione di Romano Prodi a capo dello stato. Perché, come dice la pasionaria Santanché, “Prodi al Quirinale significa Berlusconi in galera”.

    Si mormora che potrebbe essere la Lega, con la regia di Roberto Calderoli (autorizzato dal Cavaliere), a permettere l’elezione, oggi, di Anna Finocchiaro alla presidenza di Montecitorio. Sarebbe un modo morbido, graduale, di avvicinare il centrodestra al centrosinistra. La risposta, nel Pdl, dovrebbe essere il commissariamento di fatto di Bersani. Ma è tutto molto per aria, ancora. “Il presidente della Camera è già Dario Franceschini, il problema è il Senato”, dice Maurizio Lupi, del Pdl. E Cicchitto spiega il perché: “Al Senato si è candidato Monti… Bisogna vedere che succede”. E infatti Mario Monti ieri sera ha provato anche lui a sciogliere l’impasse a modo suo, si è proposto per la presidenza del Senato con l’idea di rappresentare l’ultima possibilità di far convergere Pd e Pdl verso un negoziato esteso al governo e alla presidenza della Repubblica. Ma Napolitano si è opposto, dicono. Il presidente non è d’accordo, come dice anche il suo vecchio amico Emanuele Macaluso: “Se Monti va al Senato bisogna trovare un interim a Palazzo Chigi. E non è il momento di aggiungere confusione alla confusione”. Oggi Camera e Senato arrivano alla quarta, e forse definitiva, votazione per i rispettivi presidenti. E’ appena l’inizio di una lunga fase diplomatica per evitare il voto anticipato.
     

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.