Tette al vento e femminismo poetico per la Woody Allen di Brooklyn

Annalena Benini

Lei ha le tette sempre al vento, così tanto al vento che, dicono le donne che guardano “Girls” (in Italia è su Mtv), “vedo praticamente più le sue delle mie”. E mentre si discute di quell’ultima puntata di “Girls” andata in onda l’altra sera in America, in cui una scena di sesso termina in un modo un po’ scioccante (in una serie non pornografica), ci si chiede se sia addirittura stupro o soltanto un modo piuttosto realistico di raccontare il sesso dei Millennials, in realtà si parla sempre di lei, Lena Dunham: nata nel 1986, cresciuta a Brooklyn, figlia di artisti, ha ideato, scritto, interpretato e prodotto una serie da Golden Globe che ha cambiato il modo di raccontare la giovinezza americana e che l’ha resa, come sempre succede, un fenomeno culturale.

    Lei ha le tette sempre al vento, così tanto al vento che, dicono le donne che guardano “Girls” (in Italia è su Mtv), “vedo praticamente più le sue delle mie”. E mentre si discute di quell’ultima puntata di “Girls” andata in onda l’altra sera in America, in cui una scena di sesso termina in un modo un po’ scioccante (in una serie non pornografica), ci si chiede se sia addirittura stupro o soltanto un modo piuttosto realistico di raccontare il sesso dei Millennials, in realtà si parla sempre di lei, Lena Dunham: nata nel 1986, cresciuta a Brooklyn, figlia di artisti (per i suoi quattordici anni le regalarono un corso di “Stand Up Comedy”), ha ideato, scritto, interpretato e prodotto una serie da Golden Globe che ha cambiato il modo di raccontare la giovinezza americana e che l’ha resa, come sempre succede, un fenomeno culturale. Le dicono: sei come Woody Allen, sei come Nora Ephron, tieni questi tre milioni e mezzo di dollari e scrivi un libro qualunque, per favore. Intanto si chiedono: “Girls” non è troppo spiacevole, troppo disorientante? e subito dopo: perché non si riveste? Il percorso per la verità attraversa varie fasi: prima si finge di tormentarsi sul perché questi confusi ragazzi facciano l’amore senza preservativo, alla loro età, a Brooklyn, dopo aver finito il college, insomma non è educativo, e poi perché questi amplessi grotteschi, tutto questo doloroso realismo, e qual è il limite dell’accettabilità, e i dialoghi così crudi, santo cielo, e comunque l’autrice racconta lo smarrimento giovanile ma i suoi genitori sono super introdotti nell’ambiente artistico di New York quindi non vale, fino alla vera, liberatoria, meschina domanda: perché Lena Dunham sta sempre nuda? Con quel corpo sgraziato, che non ha nulla in comune con le ragazze di “Gossip Girl” o con le culotte di “Sex and the City”, con quel modo goffo di camminare sui tacchi, la pancia che sbuca sempre fuori, le cosce sbagliate sotto il sedere sbagliato. Lei lo sa perfettamente, almeno da quando postò un video su YouTube (era ancora al college) in cui si lavava in una fontana del campus in mutande e reggiseno.

    La insultarono perché “grassa”, e lei capì che quello era stato un gesto potente, una specie di rivoluzione, piuttosto faticosa, molto bisognosa di coraggio, anche a essere un genio. “Penso: fottetevi, ma penso anche: scusatemi, vado a coprirmi”. Non si è più coperta, e dice che starsene senza vestiti “serve per esprimere quello che cerco di esprimere, cioè la verità: è ciò che ritengo giusto per me in questo momento, è ciò che è poetico”. E’ una dichiarazione politica e molto femminista (Dunham spera che il discorso femminista possa essere, prima o poi, un’idea divertente, “e non una cazzata politicamente corretta”). Poetico non è mostrare ragazze meravigliose che scuotono i capelli lucenti, ma una ventenne squinternata chiusa in un bagno, nuda e sovrappeso, che mangia una torta, dice al suo capo che vuole fare sesso con lui, e lui la rifiuta. Lena Dunham parla di sé, ma parla di tutti, ha imparato da Nora Ephron (che la volle conoscere) che la scrittura è sempre un’invenzione, anche quando ci infili dentro la tua vita, e che bisogna mischiare tutto e poi distaccarsene. Ma ha imparato da se stessa a non avere paura: di stare nuda, di fingersi sguaiata, di essere sgradevole, di suscitare anche sgomento, fastidio (insieme agli ottimi ascolti). “A volte mi chiedo: ma perché devo girare questa scena, così imbarazzante? Poi realizzo che la devo girare perché questa scena l’ho scritta io”.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.