Il buono e il cattivo

Le occasioni dei panchinari

Sandro Bocchio

Che i brasiliani abbiano un rapporto speciale con il freddo, lo dimostrano le vagonate di sudamericani che da tempo hanno intrapreso la strada che conduce in Russia e in Ucraina. Una strada soprattutto generosa, visto che sono i soldi – più che le prospettive di gloria – a convincere ad andare a lavorare in luoghi spesso poco ospitali per caratteristiche genetiche. Ma anche in Italia stanno imparando in fretta, come ha fatto Jonathas, spuntato nel mezzo dell'inaspettata nevicata che ha sorpreso Torino a metà marzo.

    Che i brasiliani abbiano un rapporto speciale con il freddo, lo dimostrano le vagonate di sudamericani che da tempo hanno intrapreso la strada che conduce in Russia e in Ucraina. Una strada soprattutto generosa, visto che sono i soldi – più che le prospettive di gloria – a convincere ad andare a lavorare in luoghi spesso poco ospitali per caratteristiche genetiche. Ma anche in Italia stanno imparando in fretta, come ha fatto Jonathas, spuntato nel mezzo dell'inaspettata nevicata che ha sorpreso Torino a metà marzo. Pochi secondi sono bastati dopo l'ingresso in campo per lasciare un segno beffardo sul corpaccione della Lazio, trasformando un oggetto finora misterioso nel simbolo della svolta granata. Una rete celebrata con una corsa verso la tribuna dove c'era la sua famiglia. Una famiglia del tutto particolare, perché Jonathas ha una storia del tutto particolare, fatta di completa gratuità. Quella di un neonato abbandonato per la strade di Betim, vicino a Belo Horizonte, e adottato non secondo l'iter burocratico abituale ma attraverso il gesto spontaneo di una donna. Che non si è posta il problema di una bocca in più da sfamare quando l'ha incontrata per strada, ma semplicemente ha accolto un bisogno che si manifestava nell'essere più indifeso: un bambino. E Jonathas non ha dimenticato, perché se sceglie sempre il numero 80 lo sceglie per sua mamma Olivia. Morta, per l'appunto, a 80 anni e ogni volta ricordata quando c'è da essere speciali in una dedica. Come regolarmente capitato domenica sera, dopo la rete decisiva contro la Lazio. In una serata di freddo intenso che però non ha paralizzato il riflesso del brasiliano, portato in Italia dal Brescia, poco considerato a Pescara (sentimento negativamente ricambiato) e ora in prestito a Torino. Dove Jonathas deve giocarsela fino in fondo, per sperare non solo di aver spazio oggi quanto, piuttosto, per ottenere una conferma domani. Per altri gol da dedicare a chi non c'è più.

    Una questione di opportunità, comunque, mai scindibile dalla capacità di saper farla fruttare. Jonathas c'è riuscito nei pochi minuti che gli sono stati finora concessi, Alexandros Tzorvas continua invece a steccare ogni volta in cui viene chiamato in causa. E non si parla di uno qualunque, nel folto gruppo di greci che ha trovato nella serie A una via di fuga ai problemi che in patria hanno travolto anche il calcio. Perché il portiere è uno che, a casa sua, ha giocato per squadre che contano (il Panathinaikos) e ha parato per la Nazionale. Ma quando si arriva in Italia occorre sapere resettare tutto e ripartire da zero. Cose che Tzorvas non ha fatto a Palermo, dove ha bruciato una maglia da titolare con prove censurabili, unite all'incapacità di non saper guidare dialetticamente un reparto per problemi di comunicazione. Cose che testardamente ha ripetuto quando ha avuto la sua occasione al Genoa, per il forfait di Sebastien Frey. E' bastata la non parata che, a Firenze, ha portato alla rete di Cuadrado per capire che il destino di Tzorvas non potrà essere altro che quello di un solido partner in allenamento durante la settimana, poi saldamente seduto in panchina in occasione delle partite. Senza neppur ascoltare la radio per sapere i risultati, ruolo storicamente appaltato ai numeri dodici: un compito impossibile da assolvere, se l'italiano non ti è amico...