Nella situation room di Bibi

Ad attendere Obama in Israele c'è un nuovo “Ottetto” di superfalchi

Giulio Meotti

Mercoledì è stato l’ultimo giorno, l’ultimo di 2.095 giorni, di Ehud Barak come “Mar Bitachon”, ministro della Difesa d’Israele. Si chiude una stagione (almeno per ora): nessuno ha servito tanto a lungo in quella posizione strategica dopo Moshe Dayan. E’ il ministero più importante dello stato ebraico: Israele, nonostante sia un paese molto piccolo, ha il dodicesimo budget militare più vasto al mondo, la cui giustificazione resta per legge ignota al pubblico. Per questo la Difesa è sempre andata ai generali, come Dayan, Ariel Sharon, Shaul Mofaz, Yitzhak Mordechai, o a grand commis nella sicurezza – come Shimon Peres, Moshe Arens e Yitzhak Shamir.

    Mercoledì è stato l’ultimo giorno, l’ultimo di 2.095 giorni, di Ehud Barak come “Mar Bitachon”, ministro della Difesa d’Israele. Si chiude una stagione (almeno per ora): nessuno ha servito tanto a lungo in quella posizione strategica dopo Moshe Dayan. E’ il ministero più importante dello stato ebraico: Israele, nonostante sia un paese molto piccolo, ha il dodicesimo budget militare più vasto al mondo, la cui giustificazione resta per legge ignota al pubblico. Per questo la Difesa è sempre andata ai generali, come Dayan, Ariel Sharon, Shaul Mofaz, Yitzhak Mordechai, o a grand commis nella sicurezza – come Shimon Peres, Moshe Arens e Yitzhak Shamir.

    Barak lascia una pesante eredità, fra cui l’immenso investimento per preparare l’attacco contro l’Iran (due miliardi di euro), le operazioni “Piombo fuso” e “Colonna di fumo” a Gaza e uno strike segreto contro l’atomica siriana. Al Kirya, il Pentagono di Tel Aviv, adesso arriva un altro ex capo di stato maggiore, Moshe Yaalon. Domenica il generale ha fatto intendere le sue priorità: l’uranio di Qom, il bunker in cui l’Iran fabbrica la bomba nucleare, lo scenario in cui le armi chimiche del rais siriano Bashar el Assad cadono nelle mani di Hezbollah e lo spettro di una nuova Intifada (ieri jet israeliani hanno lanciato razzi illuminanti su Tiro, in Libano). Sarà Yaalon l’uomo chiave nel tenere i rapporti con la Casa Bianca, adesso che Barack Obama si appresta a compiere la sua prima visita in Israele da presidente. Con Yaalon, Israele ha un nuovo “Ottetto” che negozierà con la Casa Bianca i termini della sfida nucleare iraniana. L’Ottetto è il vertice segreto dei ministri che decidono la sicurezza. Sei ne fanno parte per legge: Yaalon, il premier Benjamin Netanyahu, il ministro delle Finanze Yair Lapid, il ministro della Giustizia Tzipi Livni, il ministro della Sicurezza Yitzhak Aharonovitch e il ministro degli Esteri (per ora Netanyahu, tra un anno Avigdor Lieberman). A questi si aggiungono il ministro dell’Industria Naftali Bennett e il ministro dell’Home Front, Gilad Erdan. Mentre il precedente ottetto aveva una maggioranza contraria allo strike, il nuovo forum è più falco e spregiudicato. 
    Nel precedente Ottetto, Yaalon si era spesso schierato con i critici dello strike, ma si ritiene che abbia cambiato posizione alla luce degli immensi sviluppi tecnici iraniani. “Yaalon – ha osservato la radio statale – è politicamente un ‘falco’, ma nelle questioni militari ha fama di persona pragmatica”. E sull’Iran, la linea rossa di Netanyahu continua a differire da quella della Casa Bianca.  La scorsa settimana, Obama ha detto che la sua è la costruzione della bomba atomica, che non avverrà prima di un anno. Per gli strateghi israeliani, è l’arricchimento dell’uranio anche senza “breakthrough”, assemblaggio.

    I dissapori sul ritiro da Gaza
    Yaalon è un rampollo di sinistra. Figlio di operai, Yaalon viene da Kiryat Haim, il bastione rosso di Haifa, e continua a vivere nel kibbutz Grofit, in una modesta casa con moglie e figli dove è responsabile delle stalle. Yaalon, come Barak, ha diretto la Sayeret Matkal, l’unità famosa per il motto “chi osa vince”, mutuato dalle Sas inglesi, e alla quale vengono affidate le missioni ardite. E’ in questa veste che Yaalon ha diretto il raid che ha portato nel 1988 all’uccisione di Abu Jihad, il capo militare dell’Olp. Ventisei uomini guidati da Yaalon sbarcarono sulle coste tunisine. Mezz’ora dopo il generale riprendeva il mare alla volta di Israele, dopo aver colpito a morte Abu Jihad. A differenza di Barak, Yaalon è amato dai coloni. Nel 2005 Ariel Sharon non gli rinnovò il mandato di capo dell’esercito proprio per la sua opposizione al ritiro da Gaza. “Non possiamo rinchiuderci dietro a muri e barriere”, disse Yaalon prima del ritiro. “Chiunque mostri debolezza è come un animale ferito nella savana: viene attaccato”. Ben Caspit, columnist di Maariv, lo descrive come “stoico e onesto” (si dice che Rabin ammirasse Yaalon per la sua integrità). Yaalon ha un rapporto storico con l’establishment americano, perché sotto il suo comando Israele ha vissuto le difficoltà della guerra in Iraq.

    Una clausola per la formazione del nuovo governo prevede che ogni cessione di territorio debba essere approvata da un referendum: sui negoziati con Ramallah, Yaalon è un oltranzista. Da generale sostenne gli accordi di Oslo, per poi pentirsi: “Fintanto che l’altra parte non riconoscerà il nostro diritto all’esistenza come stato del popolo ebraico non sono pronto a cedere un millimetro di terra”. Nei corridoi del potere si dice che Yaalon sia pronto a prendere le redini del Likud una volta tramontata la stella di Bibi, già entrata in crisi. 

    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.