Bersani fa scouting col loden

Salvatore Merlo

desso esplodono rancori fino a ieri a stento sopiti, gli uomini più vicini a Luca Cordero di Montezemolo non perdonano a Mario Monti i suoi “troppi errori”, e lui, il professore, appare distante, quasi disinteressato, freddo, mentre il suo braccio destro Federico Toniato, l’ambasciatore dei negoziati più delicati, il suo grand commis, è oggetto di un feroce processo interno al partito (“è lui ad avergli suggerito tutte le mosse sbagliate, come l’assurda candidatura al Quirinale e al Senato”). E in questo tramestio si è insinuato, serpigno, Pier Luigi Bersani.

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    Adesso esplodono rancori fino a ieri a stento sopiti, gli uomini più vicini a Luca Cordero di Montezemolo non perdonano a Mario Monti i suoi “troppi errori”, e lui, il professore, appare distante, quasi disinteressato, freddo, mentre il suo braccio destro Federico Toniato, l’ambasciatore dei negoziati più delicati, il suo grand commis, è oggetto di un feroce processo interno al partito (“è lui ad avergli suggerito tutte le mosse sbagliate, come l’assurda candidatura al Quirinale e al Senato”). E in questo tramestio si è insinuato, serpigno, Pier Luigi Bersani. Sembra che il segretario del Pd lo voglia fare sul serio un governo, sembra che ci voglia provare e che abbia già perforato le difese fragili del gruppo di Monti. Il suo “scouting”, la sua esplorazione, non riguarda solo il Movimento cinque stelle, o la Lega, ma anche i montiani profondamente divisi, e ieri a un passo dal rompete le righe per l’elezione dei capigruppo. Scelta civica è già separata in quattro pezzi: i cattolici di Andrea Riccardi, gli uomini di ItaliaFutura come Andrea Romano, i montiani puri come Renato Balduzzi, e poi gli ex dell’Udc. La pattuglia più montezemoliana – Edoardo Nesi, Andrea Romano, Irene Tinagli ma non solo – ha deciso che comunque vada loro voteranno la fiducia al governo di centrosinistra, mentre i cattolici di Riccardi hanno dei dubbi e Casini, indebolito e sfiduciato, si tiene tatticamente sospeso: “E’ necessario che prima si consumino tutti i drammi”. Ma nel Pd non hanno dubbi sul fatto che la gran parte di loro starà con Bersani. “Prepara il governo, ma anche il voto”, dice Marcello Sorgi.

    Bersani si comporta come davvero stesse per costituire una nuova maggioranza. Il segretario ha inviato ambasciatori e messaggi in tutte le direzioni, da Grillo a Monti fino alla Lega nord di Roberto Maroni. Dunque, come spiega Marcello Sorgi: “Se per combinazione a Bersani viene fuori una maggioranza, bene. Altrimenti va bene uguale, perché tutto quello che sta facendo gli serve pure come propellente per la campagna elettorale”. E Sorgi vuole dire che al segretario del Pd mancano trenta senatori per farcela, ma se poi il governo non si dovesse costituire lui ha pronta comunque una campagna elettorale “formidabile”, tutta contro Grillo, il suo vero avversario, “l’irresponsabile” che non gli ha permesso di mettere in piedi un magnifico governo antiberlusconiano.

    D’altra parte nelle ultime ore nel Pd si rafforza l’idea di proseguire sul modello Boldrini-Grasso, i due nuovi presidenti di Camera e Senato, due figure scelte per mettere in contraddizione la retorica di Grillo: chi sarà il nuovo presidente della Repubblica? Nel Pd si sono ormai convinti che il “modello Grasso” funzioni e dunque per il Quirinale ritorna prepotente il profilo di una figura vicina alla sinistra ma proveniente dalla cosiddetta società civile: i professori Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky, per esempio. Ed è proprio questo tipo di orientamento che ieri ha scatenato le preoccupazioni del Pdl e di Silvio Berlusconi, sempre più pericolosamente isolati. “Per una volta dovrebbero darlo a noi il Quirinale”, ha detto il Cavaliere ai suoi senatori riuniti per eleggere Renato Schifani all’incarico di capogruppo. “Se la sinistra si prenderà anche il Quirinale noi siamo pronti ad andare in piazza”, ha spiegato Berlusconi. Il timore fortissimo del Cav. è di vedere nel prossimo capo dello stato un nemico, una figura capace di realizzare il peggiore degli incubi come dice Daniela Santanchè: “Il berlusconicidio perfetto, il Cavaliere in galera e uno come Prodi o Zagrebelsky al Quirinale”.

    Così Berlusconi cerca di guadagnarsi un posto al tavolo della trattativa per la presidenza della Repubblica, ha inviato tutti gli ambasciatori e allertato il gran visir Gianni Letta: “Ci vuole un presidente di garanzia”. E nel Pdl vorrebbero rieleggere Giorgio Napolitano, “se il Parlamento lo elegge, lui poi mica può rifiutare”. Per il resto rimane tesa la mano del Cavaliere, che ufficialmente continua a offrire le larghe intese a un Pd che ha tuttavia sterzato da un’altra parte: “Alfano non ha nemmeno escluso a certe condizioni di poter votare la fiducia al governo Bersani, così come Napolitano alcuni giorni fa si è appellato all’unità nazionale – dice Sergio Pizzolante, deputato socialista del Pdl – ma il segretario del Pd ha già risposto dicendo che siamo ‘indecenti’”. Tuttavia, come Bersani, anche Berlusconi costruisce una linea politica double-face, buona anche per andare a votare il più presto possibile. Se il segretario del Pd è pronto a usare le sue armi – spuntate? – contro Grillo, Berlusconi, che ha rinfoderato la carica populista della recente campagna elettorale, sa già di poter accusare il Pd di essere la vera forza “irresponsabile” d’Italia, “quelli che non hanno voluto il governo di salvezza nazionale che io gli proponevo”.

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    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.