Famolo strano

Bersani si fa il governo Shangri-La

Stefano Di Michele

A leggere le anticipazioni (più che altro intenzioni), il governo di Pier Luigi I che verrà (se mai verrà) dovrebbe rappresentare una sorta di magico passaggio da Gotham City a Shangri-La, dal buio alla luce, dall’inciviltà politica alla civiltà sociale: un governo stellare – altro che cinque, di stelle. Perciò, vista la difficoltà e forse avvertita l’impossibilità, è gara a chi piazza il più improbabile nome di ministro, chi azzarda la più scombinata fantasia, chi propone la candidatura più irrealizzabile. Quasi un gioco di società dove l’ostinato Bersani fa mezza apertura, qualche ganzo del suo partito la completa, i forum la moltiplicano, la società civile si scatena.

    A leggere le anticipazioni (più che altro intenzioni), il governo di Pier Luigi I che verrà (se mai verrà) dovrebbe rappresentare una sorta di magico passaggio da Gotham City a Shangri-La, dal buio alla luce, dall’inciviltà politica alla civiltà sociale: un governo stellare – altro che cinque, di stelle. Perciò, vista la difficoltà e forse avvertita l’impossibilità, è gara a chi piazza il più improbabile nome di ministro, chi azzarda la più scombinata fantasia, chi propone la candidatura più irrealizzabile. Quasi un gioco di società dove l’ostinato Bersani fa mezza apertura, qualche ganzo del suo partito la completa, i forum la moltiplicano, la società civile si scatena (la società civile si scatena sempre: non si tiene, signora mia, non si tiene…). Pare di stare – annusata l’aria, viste le facce – dentro una vecchia gloriosa sigla di “Canzonissima” condotta proprio dal venerabile Dario Fo negli anni Sessanta, “facciam cantare gli orfani / le vedove che piangono / e gli operai in sciopero lasciamoli cantare / facciam cantare gli esuli / quelli che passano le frontiere / insieme agli immigrati che fanno i manoval”, e dunque tutti cantano, e tutti s’impegnano a far stornellare.

    Non che uno debba avere pena nel cuore per l’assenza ministeriale della Fornero o di Frattini, ma questa specie di partita a Scarabeo – chi compra lettere e chi butta nomi – mica promette molto di più. Così, in un fiorire un po’ sognante e un po’ per testare la capacità di resistenza dei finora incustoditi e illibati grillini (che ingenuamente potrebbero accettare caramelle dagli sconosciuti), grandine di nomi sulle pagine dei giornali, da don Ciotti a Saviano, Gino Strada e Cecchi Paone, Carlìn Petrini e il sempre presente Stefano Rodotà (quasi quasi come Emma Bonino: categoria “gli imprescindibili”), lo storico Gotor e la filosofa Michela Marzano che vive in Francia (e allora?), e appena appena sfiorare il più ambìto, la speranza somma, quello del professor Zagrebelsky: ci si sente catturati in un reticolato – chi con speranza, chi in estasi, chi in preda agli incubi. Ma soprattutto un nome ne tira un altro, e un altro un altro ancora, così che se fino alle elezioni tutti erano un po’ tecnici della nazionale, adesso tutti si scoprono un po’ incaricati della formazione del governo nazionale. Tante le proposte che circolano che, come potrebbe ben certificare la presidente Boldrini, manco all’Onu ci sono posti bastevoli. Basta un forum, una mail, una lettera a un giornale per farsi operativi e portare il proprio contributo.

    Ieri si segnalava la missiva di un volenteroso professore del Manifesto, Sergio Cesaratto, che forte del fatto che “abbiamo avuto le rose, ora speriamo che giunga il pane”, buttava nella mischia Chiara Saraceno per il Colle (nel parapiglia, fioccano dal servizio civile pure le candidature per il Quirinale) ed Elena Granaglia per Palazzo Chigi, “due ‘beautiful mind’, due persone all’altezza dei problemi sia del pane che delle rose”, sicuro. Poi altre ardite proposte, per concludere con “la Magistrata Fiorillo che si rifiutò di affidare Ruby alla Minetti alla Giustizia, e alla Cultura, ovvio, Luciana Littizzetto” – ovvio, pure se si chiama Littizzetto. “Che fare di tutto quello che ci manca?”, si è chiesta Michela Marzano. Bel problema. Ma Bersani, per ora, più che altro si chiede che fare di tutti i nomi che (purtroppo) non gli mancano. Sia col pane, sia col companatico. E sia pure con le rose.