Ce n'est qu'un début

Matteo Matzuzzi

E’ durata un’ora in meno rispetto al previsto la messa per l’inizio del ministero petrino di Papa Francesco. Splendeva il sole su Roma e la piazza era un contrasto di bandiere nazionali, striscioni e drappi solenni amaranto, bordeaux e porpora funzionali alla celebrazione eucaristica. Davanti al portone di ingresso della basilica c’era il tronetto (non quello prezioso di Leone XIII, visto anche alla Benedizione Urbi et Orbi dello scorso Natale) sormontato dal parasole. L’altare, sul sagrato, era arredato nello stile benedettino tanto caro al “venerato predecessore Benedetto XVI”: sette candelabri, la croce al centro.

Leggi Nato per fare il Papa di Nicoletta Tiliacos

    E’ durata un’ora in meno rispetto al previsto la messa per l’inizio del ministero petrino di Papa Francesco. Splendeva il sole su Roma e la piazza era un contrasto di bandiere nazionali, striscioni e drappi solenni amaranto, bordeaux e porpora funzionali alla celebrazione eucaristica. Davanti al portone di ingresso della basilica c’era il tronetto (non quello prezioso di Leone XIII, visto anche alla Benedizione Urbi et Orbi dello scorso Natale) sormontato dal parasole. L’altare, sul sagrato, era arredato nello stile benedettino tanto caro al “venerato predecessore Benedetto XVI”: sette candelabri, la croce al centro. Spostata sul lato e circondata da candidi fiori bianchi, la statua della Madonna con bambino, omaggiata dal Papa al termine della messa, quando la Schola della Cappella Sistina intonava in latino il Salve Regina.

    Tutto era cominciato con l’ampio giro della piazza in jeep, i baci ai bambini e ai malati. Quindi, nella solennità della basilica, la preghiera inginocchiato davanti al sacello di San Pietro, mentre dall’esterno giungevano le note del Tu es Petrus di Palestrina. Risalendo nella navata principale insieme ai patriarchi orientali, Francesco guardava nervosamente l’orologio. Affrettava il passo, pensando di essere già in ritardo, ma il Maestro delle cerimonie liturgiche lo frenava: “Calma, Santità”, gli sussurrava tranquillizzandolo. Il Papa non vedeva l’ora di raggiungere il sagrato. Niente dalmatica pontificale, niente fanone, che pure Ratzinger aveva ripristinato lo scorso autunno per le occasioni più solenni. Solo una semplice casula bianca che nello stile bene si accompagnava alla mitra personale cui Bergoglio è affezionato. In mano, però, Francesco teneva la ferula di Benedetto e non quella dal disegno più moderno di Paolo VI e Giovanni Paolo II.
    L’omelia, pronunciata dopo il Vangelo secondo Matteo cantato da un diacono in greco moderno, è stata breve. Il Papa si è alzato dalla sede e senza mitra sul capo – come domenica a Sant’Anna – ha letto un discorso già preparato, stando davanti a un leggio improvvisato, quasi fosse un ambone. Poche parole, nessun riferimento a quei segni visibili che all’inizio della mattinata gli erano stati apposti: il pallio e l’anello piscatorio.

    Francesco si è soffermato sulla “vocazione del custodire”, che “ha una dimensione che riguarda tutti: è il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo”.
    Otto anni fa, Joseph Ratzinger costruì gran parte della sua omelia proprio attorno a questi simboli. Il pallio, spiegava Ratzinger “dice innanzitutto che tutti noi siamo portati da Cristo. Ma allo stesso tempo ci invita a portarci l’un l’altro. La santa inquietudine di Cristo deve animare il pastore”. Per lui, diceva Benedetto XVI, “non è indifferente che tante persone vivano nel deserto. E vi sono tante forme di deserto. Vi è il deserto della povertà, il deserto della fame e della sete, vi è il deserto dell’abbandono, della solitudine, dell’amore distrutto. Vi è il deserto dell’oscurità di Dio, dello svuotamento delle anime senza più coscienza della dignità e del cammino dell’uomo”.

    Riguardo l’anello, che Bergoglio ha voluto d’argento dorato, il teologo bavarese si soffermò sul significato più profondo di quel simbolo, che indica la missione prima e più significativa del Vicario di Cristo e successore del principe degli apostoli: “Prendere il largo nel mare della storia e gettare le reti, per conquistare gli uomini al Vangelo, a Dio, a Cristo, alla vera vita”. Sono questi, chiarì Ratzinger, i due segni con cui viene rappresentata liturgicamente l’assunzione del ministero petrino. Un tema, questo, su cui è tornato anche Francesco. Si è chiesto, il Pontefice argentino, quale sia il potere che Gesù Cristo ha donato a Pietro. E la risposta è stata che il “vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce”. Un servizio che per Bergoglio deve essere “umile, concreto, ricco di fede” e che sia orientato ad “aprire le braccia per accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità”. Ha alzato la voce e lo sguardo, il Pontefice, quando ha ricordato “i più poveri, i più deboli, i più piccoli” descritti da san Matteo nel giudizio finale sulla carità: “Chi ha fame, sete, chi è straniero, nudo, malato, in carcere. Solo chi serve con amore sa custodire”.

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    • Matteo Matzuzzi
    • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.