Tutti al Quirinale

Renzi prepara il pugnale per impedire a Bersani di andare subito alle elezioni

Claudio Cerasa

Sul sentiero accidentato che il Pd comincerà a percorrere partendo dalle consultazioni al Quirinale e arrivando fino al traguardo dell’incarico che Giorgio Napolitano potrebbe affidare a Pier Luigi Bersani entro la fine della settimana, c’è un’ombra sospetta, a forma di pugnale, che il segretario osserva da qualche ora con un pizzico di preoccupazione. Il pugnale in questione è quello che Matteo Renzi, nonostante la promessa di non voler colpire alle spalle il leader del Pd, ha cominciato ad affilare qualche giorno fa, quando, subito dopo il successo ottenuto da Bersani nella partita delle presidenze delle Camere, improvvisamente il sindaco ha capito che il piano B del leader del centrosinistra prevede una variabile a cui il Rottamatore non aveva dato peso ma che nelle ultime ore ha preso corpo nel Pd.

    Sul sentiero accidentato che il Pd comincerà a percorrere partendo dalle consultazioni al Quirinale e arrivando fino al traguardo dell’incarico che Giorgio Napolitano potrebbe affidare a Pier Luigi Bersani entro la fine della settimana, c’è un’ombra sospetta, a forma di pugnale, che il segretario osserva da qualche ora con un pizzico di preoccupazione. Il pugnale in questione è quello che Matteo Renzi, nonostante la promessa di non voler colpire alle spalle il leader del Pd, ha cominciato ad affilare qualche giorno fa, quando, subito dopo il successo ottenuto da Bersani nella partita delle presidenze delle Camere, improvvisamente il sindaco ha capito che il piano B del leader del centrosinistra prevede una variabile a cui il Rottamatore non aveva dato peso ma che nelle ultime ore ha preso corpo nel Pd. Variabile così sintetizzabile: se non si riesce a far partire un governo e si va alle elezioni, anche a giugno, puntando su una campagna elettorale costruita all’insegna dell’irresponsabilità dei grillini e rivendicando la squadra di ministri che il segretario intende portare in Parlamento, alle urne il centrosinistra dovrà ripresentarsi ancora con lo stesso candidato, ovvero Bersani. Intuito il pericolo – Renzi non vuole votare a giugno, troppo presto, troppo poco tempo per fare le primarie – i rottamatori hanno corretto la loro linea e pur di evitare il rischio che si vada al voto in tempi rapidi hanno cominciato a usare (come un pugnale) alcune parole suonate sospette alle orecchie dei bersaniani. Due su tutte: “Governo istituzionale”. Parole che tradotte significano: se Bersani non dovesse essere in grado di fare un governo noi seguiremo le indicazioni di Napolitano e in nome della stabilità diremo no alle elezioni e saremo pronti a tutto, anche a governare con il Pdl. “Dobbiamo essere realistici – dice al Foglio Alfredo Bazoli, deputato renziano, nipote del presidente di Intesa San Paolo – e credo che nessuno possa augurarsi l’immediato ritorno alle urne. Il paese lo vivrebbe come il segno di un fallimento della politica, consegnando maggiore forza ai sentimenti di fastidio e insoddisfazione nei confronti dei partiti. Quindi se Bersani non dovesse farcela è ovvio che non sarà quella delle urne la strada da seguire”.

    La strada da seguire, secondo i renziani, non sarebbe dunque quella di riportare il paese alle elezioni “sfruttando” il gesto di “irresponsabilità” dei grillini ma sarebbe invece quella di prendere tempo, di far rifiatare il paese, di dar vita a un governo di scopo e di non accelerare più del dovuto la seconda discesa in campo del sindaco di Firenze. “Io – dice ancora Bazoli – spero che Bersani abbia in mano le carte che gli consentano di chiudere felicemente il suo tentativo, ma è chiaro che in caso contrario bisognerà affidarsi alla sensibilità politica e alla saggezza di Napolitano per traghettare il paese in questa fase difficile. Andare al voto senza fare sostanzialmente nulla, né provvedimenti economici urgenti, né nuova legge elettorale, né minime riforme istituzionali non mi pare una proposta assennata e anche se nelle attuali condizioni non mi pare praticabile un governo politico o di larghe intese con il Pdl, e tantomeno con un sostegno esterno della Lega, bisogna riconoscere che gli spazi e la fantasia della politica possono aiutare a individuare il percorso giusto per fare nascere un governo di transizione, aperto in questo caso a chi ci sta, in grado di fare le cose urgenti e necessarie anche in un orizzonte temporale limitato: dando così il senso di una classe politica consapevole della condizione del paese e all’altezza del proprio compito”. Dunque, sottointeso, a determinate condizioni, e in nome dell’unità nazionale, sarebbe inevitabile mettersi insieme anche con il centrodestra per “traghettare” il paese con calma verso nuove elezioni.

    Bersani, in realtà, sa che ad accarezzare il pugnale dietro le sue spalle non è il solo Renzi ma, a guardar bene, sono tutte le varie anime del Pd che per diverse ragioni da giorni sono all’opera sia per evitare che il segretario faccia precipitare il paese alle elezioni sia per scongiurare che in caso di voto anticipato sia ancora l’attuale segretario il candidato premier. Nel primo caso è la vecchia guardia del partito che, triangolando con Napolitano, si sta dando da fare per creare le condizioni per dar vita a un robusto governo istituzionale, qualora il tentativo di Bersani non dovesse andare a buon fine. Nel secondo caso sono invece i giovani della gauche del Pd (giovani turchi e civatiani) che pur concordando con il segretario sull’idea di preferire le urne al governo istituzionale non condividono invece l’idea di avere ancora Bersani come candidato premier.
    Il leader del Pd, naturalmente, sa che la strada è stretta e che il percorso per la premiership è sempre più complicato (e ieri, nonostante Maroni abbia ripetuto che “un governo ci vuole”, la notizia che Pdl e Lega parteciperanno insieme alle consultazioni ha indebolito l’opzione fiducia-tecnica della Lega al governo Bersani). E probabilmente sarà anche per questo che nel Pd c’è chi sta già iniziando a mettere le mani avanti e ragionando su una nuova variante al piano di Bersani. Finora, il piano è sempre stato quello dei due colpi in canna: o governo Bersani o elezioni. La novità è che tra le proposte che il segretario porterà al Quirinale ce ne sarà anche un’altra. Una via di mezzo, un terzo colpo in canna: o un governo guidato da Bersani o un governo guidato da una personalità che potrebbe sparigliare sullo schema di Pietro Grasso al Senato. Uno schema che ha funzionato talmente bene, pensano nel Pd, che il nome sul quale si potrebbe puntare in caso di insuccesso di Bersani sarebbe ancora quello dell’ex capo dell’Antimafia.

    Ieri, poco prima che Roberto Speranza e Luigi Zanda venissero scelti come nuovi capigruppo del Pd alla Camera e al Senato, la voce è arrivata anche a Firenze a Matteo Renzi, al quale hanno persino raccontato che il segretario sarebbe intenzionato a proporre durante le consultazioni il nome di Grasso prima ancora che quello dello stesso Bersani (ipotesi alla quale in pochi nel Pd credono seriamente). Alla notizia il sindaco ha reagito senza scomporsi. E, forte anche di un clamoroso sondaggio commissionato dal Pd alla Swg di Roberto Weber (che dà un centrosinistra guidato da Renzi al 44 per cento, con Grillo al 30, e un centrosinistra guidato da Bersani al 29, con Grillo al 40), ha fatto un ragionamento di questo tipo: “Un governo di qualsiasi genere che allontani di qualche mese la data delle elezioni per me andrebbe benone. Io non voglio andare a votare a giugno ma se dovesse capitare nessuna tragedia: io sarò in campo lo stesso e sono certo che se le cose dovessero andare così non sarò l’unico all’interno del Pd a chiedere a Bersani di fare definitivamente un passo indietro”. Il sentiero per Bersani resta dunque molto accidentato. E chissà allora se nei prossimi giorni il pugnalone di Renzi sarà l’unico che si avvicinerà minaccioso al corpo ammaccato del segretario del Pd.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.