Quando Churchill scriveva d'amore

Paola Peduzzi

La prima volta che incontri Winston, noti soltanto i suoi difetti. Poi passi il resto della vita a scoprirne le virtù”, dice una signora parlando del giovane Churchill. La frase è riportata nel libro “Young Titan: The Making of Winston Churchill”, appena pubblicato nel Regno Unito e scritto da Michael Shelden, giornalista e saggista che ha già scritto due importanti biografie, quella di George Orwell e quella di Graham Greene.

    La prima volta che incontri Winston, noti soltanto i suoi difetti. Poi passi il resto della vita a scoprirne le virtù”, dice una signora parlando del giovane Churchill. La frase è riportata nel libro “Young Titan: The Making of Winston Churchill”, appena pubblicato nel Regno Unito e scritto da Michael Shelden, giornalista e saggista che ha già scritto due importanti biografie, quella di George Orwell e quella di Graham Greene. In “Young Titan” Shelden racconta Churchill all’inizio del Novecento, un venticinquenne già conosciuto, smaliziato, ambizioso, innamorato, e lo accompagna fino ai quarant’anni, nel 1915, quando nel ruolo di Primo lord dell’Ammiragliato volle e organizzò la prima invasione dal mare dei tempi moderni con la campagna dei Dardanelli, che però portò a uno dei più grandi insuccessi della Triplice Intesa. E’ un periodo della vita del futuro premier inglese spesso tralasciato, tanto è potente il secondo Churchill, quello della guerra e della pace, ma poiché Sheldon ha uno spiccato senso del marketing, il libro si apre con un prologo commovente, Churchill che cammina sulle rovine della Camera dei Comuni, nel 1941, e ha le guance rigate di lacrime. Un’istantanea per non dimenticare quel che sarà del ragazzo burrascoso e delle sue intemperanze, poi si torna al 1901, con Winston in treno che scrive una lettera d’amore.

    Il giovane Churchill è romantico con le donne (anche se al primo incontro con Beatrice Webb, lei annota sul diario la “first impression”: parla solo di se stesso, è irrequieto in modo intollerabile, presuntuoso ed egoista, ma ha fegato, ed è magnetico) e indeciso sulla politica: a 25 anni poteva diventare il protagonista di un libro di avventure con le sue missioni in India e a Cuba, la sopravvivenza dopo il rapimento da parte dei boeri in Sudafrica, e a 40 ha già tutto il meglio dietro le spalle. Si vede il talento, innegabile, ma si vedono anche l’impetuosità e – “il peggiore dei peccati politici”, come ha scritto Sonia Purnell sull’Independent – la sfortuna, una serie di obiettivi non raggiunti che rendono anche il più dirompente degli uomini un politico come tanti. Quasi rottamabile, diciamo.
    “Young Titan” è utile per interpretare il Regno Unito di oggi, la coalizione tra Tory e liberal-democratici sempre sull’orlo di collassare come quei matrimoni pianificati in tutti i dettagli ma miseramente senz’amore; è utile soprattutto per capire il premier, David Cameron, che quando prese il potere, nel 2010, aveva 44 anni, il più giovane primo ministro dal 1812. C’è una frase che rimbomba nella prima parte di “Young Titan”, e non la si dimentica, supera quasi il racconto inedito della visita di Churchill a un’ex amante per spiegarle perché non può stare con lei (e ti chiedi come abbia fatto poi uno così a negoziare alla conferenza di Yalta): “Viviamo in un’èra di grandi eventi e di piccoli uomini”. La frase rimbomba nella sua banalità e nella sua forza, sembra applicabile per tutti i secoli dei secoli, tanto più oggi che la leadership inglese sconta anni di crescita anemica, di liti interne, di pragmatismo esasperato, di assenza di una visione. Si naviga a vista un po’ in tutto il mondo, non è che gli americani abbiano proprio chiaro dove vogliono andare e nemmeno i cinesi, con il loro sogno militare, sembrano essersi spostati molto dalla solita bolla di propaganda, ma in Inghilterra c’è quel senso austero della tradizione di partito e di governo, c’è il lascito di Churchill e c’è quello della Thatcher, c’è una gioventù stropicciata al potere che cerca di coniugare quel che fu con quel che è, una visione ambiziosa del mondo in cui troppo è negoziabile.

    Tutti litigano con tutti, tutti hanno idee migliori e inascoltate, tutti hanno un sogno di premierato da quando erano piccini, tutti covano l’intollerabile certezza che con un premier diverso l’Inghilterra ora sarebbe un paese che non deve sottostare a umilianti declassamenti del rating. Neppure con Gordon Brown, il premier laburista che forse non piaceva nemmeno a se stesso, s’era vista una fila così affollata e chiacchierona di politici pronti a pugnalare Cameron e prendere il suo posto – spesso senza un’idea, se non quella (nauseante) del cambiamento. Il premier innesta nella competizione il suo mix di tradizione e modernità, i Sex Pistols e i matrimoni gay, provando a vendersi come un eroe romantico di Lord Byron – di cui Churchill era studioso e ammiratore, gli rubò le parole “sangue, fatica, lacrime e sudore” per affrontare la guerra – cui la storia ha offerto una chance: portare il Regno Unito fuori dalla crisi. Ma il riscatto sta nell’usarla bene, quella chance.

    L’approvazione per l’operato dell’attuale governo inglese è bassa, se si votasse oggi il Labour, che pure non ha una leadership molto compatta, vincerebbe di molto. Per i Tory si è anche consolidata l’insidia degli indipendentisti, guidati dal carismatico Nigel Farage, che rosicchiano voti antieuropei e anche qualcosa di più. Quando ieri il cancelliere dello Scacchiere, il giovane e fedelissimo George Osborne, ha presentato il budget (vedi articolo a pagina tre) e ha rivisto la crescita inglese per il 2013 dimezzandola – dall’1,2 per cento allo 0,6 – sono arrivati quasi in tempo reale i necrologi della sua carriera politica. Non che sia una novità: il cancelliere dello Scacchiere e il suo capo sono sotto tiro da tempo e molti dei pasticci – come la non riforma del sistema sanitario – sono diventati irrimediabili. Ma quel che più conta, nella storia di un partito che ha vinto di poco le elezioni, che ha dovuto trovarsi un compagno di coalizione che s’addolcisce soltanto quando viene bastonato (e accade spesso), che ha introdotto per primo un regime d’austerità rigoroso salvo poi sperimentarne sulla pelle i limiti, quel che più conta è la credibilità e la forza del capo. E il capo, a detta di tutti, si sta indebolendo davvero, nonostante il chiacchiericcio golpista sia al momento molto gossiparo, roba buona per il divanetto del parrucchiere non di Westminster.

    E’ comunque un vociare che non si può non ascoltare. La regina delle golpiste all’interno dei Tory – secondo il bollettino odierno, ma è democrazia putschista liquida, tutto cambia – ha cinquantasette anni, un marito sposato ormai più di trent’anni fa, la passione per la cucina e per le scarpe, la tendenza a far arrabbiare i più destrorsi del partito e una grande dedizione alle pari opportunità: si chiama Theresa May e fa, per ora, il ministro dell’Interno. La May è stata lanciata, descritta, intervistata dal Sunday Times, domenicale del gruppo Murdoch che è parecchio rognoso nei confronti del premier: in quei resoconti è stata descritta come la prossima leader dei Tory. Tim Montgomerie, che a breve diventerà il capo delle pagine degli editoriali del Times (sempre di Murdoch) dopo aver fondato e diretto ConservativeHome.com, sostiene che May non vuole né sarà leader dei conservatori prima del 2015, “la lealtà è una delle caratteristiche migliori della capa dell’Home Office”. Per Montgomerie, May è la versione inglese della cancelliera tedesca Angela Merkel, “poco viziata, determinata e competente”, e ha un’idea del conservatorismo proiettata nel futuro, come ha dimostrato nel suo discorso “We Will Win By Being The Party For All”, una decina di giorni fa, quando ha sottolineato che i pilastri della sua teoria sono “sicurezza, libertà e opportunità”.

    Il posizionamento di May è piuttosto chiaro, meno evidente è l’elemento della lealtà, e il paragone con Merkel, grande traditrice del padrino Helmut Kohl, non depone a suo favore. Nel governo di Cameron nessuno crede più alla fedeltà, soprattutto perché la storia recente della politica inglese è costellata di grandi sgarbi più che di grandi onestà, e anzi molti conservatori hanno detto al premier di “tenere a bada i suoi ministri”, come ha registrato con malizia il Daily Telegraph, che ha anche citato un parlamentare dei Tory anonimo: “Cameron non ci può fare la predica sulla disciplina quando non riesce nemmeno a controllare il suo esecutivo”. Stando alle ricostruzioni sarebbe stato un fedele del premier, il ministro dell’Istruzione Michael Gove, a fare il poliziotto cattivo, rivolgendosi con una certa foga alla May durante un Consiglio dei ministri per riportarla al suo posto, mentre tutti i giornali enfatizzavano la voglia di molti conservatori di abbandonare Cameron e raggrupparsi attorno “alla nuova Lady di Ferro”, come ha scritto l’Independent. Mentre il governo affossava le ultime proposte di May in una prova di forza pubblica, l’elenco dei pretendenti al trono si allungava e arrivava a comprendere altri ministri. Ma in guerra è sempre bene non distrarsi, e Cameron potrebbe accorgersene presto, magari già lunedì prossimo quando vedrà su Bbc2 il documentario del mitico Michael Cockerell dal titolo “Boris Johnson: The Irresistible Rise”. La “big star” è il sindaco di Londra, che ha quasi cinquant’anni, molte vite alle spalle e un’enorme passione – quasi un’immedesimazione – per Winston Churchill, con il quale sa di avere una grande differenza: “Era un ubriacone, era spesso maleducato – ha detto Johnson parlando di Churchill – era lagnone, faceva disastri incredibili, ma non ha mai avuto un comportamento inappropriato con una segretaria”. Johnson si autoassolve in grande stile per il passato da traditore, e si appresta alla grande battaglia contro Cameron. Fa paura già a vederla in tv.

    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi