Grilli per fiaschi

Alessandro Giuli

Il senatore e capogruppo grillino Vito Crimi poteva anche risparmiarsi quelle scuse rivolte ieri ai giornalisti. Se davvero gli stanno “sul cazzo”, come aveva affabilmente dichiarato il giorno prima agli occasionali intervistatori della “Zanzara”, è nel suo pieno diritto manifestarlo. E poi non è nemmeno così lontano dal vero. Sulla categoria dei giornalisti politici esiste una letteratura, per lo più autobiografica, talmente incensatoria da contemplare la vaporosa ammissione della propria pigrizia, vischiosità e devozione al divanetto del Transatlantico.

    Il senatore e capogruppo grillino Vito Crimi poteva anche risparmiarsi quelle scuse rivolte ieri ai giornalisti. Se davvero gli stanno “sul cazzo”, come aveva affabilmente dichiarato il giorno prima agli occasionali intervistatori della “Zanzara”, è nel suo pieno diritto manifestarlo. E poi non è nemmeno così lontano dal vero. Sulla categoria dei giornalisti politici esiste una letteratura, per lo più autobiografica, talmente incensatoria da contemplare la vaporosa ammissione della propria pigrizia, vischiosità e devozione al divanetto del Transatlantico. Dacché esistono, cronisti e compilatori di retroscena vivono in un rapporto osmotico con il parlamentare di professione, in omaggio alle leggi naturali di un narcisismo alimentato dal mutuo soccorso fra egotici. Il problema è che Beppe Grillo e i suoi non sono professionisti della politica, per lo meno non lo sono ancora e faranno di tutto per non esserlo. Di qui un grande malinteso: i colleghi gli si avvicinano con movenze, abitudini e automatismi sbagliati; offrono amicizie posticce in cambio di propalazioni, cercano di ritrarli nature, come fossero nativi amerindi di fronte al pennello di un invasore bianco cinquecentesco.

    Ma quelli, i grillini, non assecondano un gioco che giudicano implausibile e troppo permeato di un malanno degenerativo contro il quale pensano di dover lottare. L’apoteosi del malinteso si verifica con Grillo e Casaleggio, i prìncipi (da primus inter pares) del 5 stelle. La raffica di vaffanculo, sberleffi, umiliazioni o silenzi da loro opposta ai giornalisti, tra un agguato e un inseguimento di taccuini e telecamere – i cameramen restano comunque migliori degli altri perché fra loro si alternano cameratismo e gomitate senza troppe cerimonie – è il segno di una irriducibilità invalicabile fra insiemi etologici. Il giornalista di Palazzo tende a omologare, appiattire, inscatolare in forma seriale le personalità dei suoi interlocutori. Nella sua testa, un democristiano della Prima Repubblica, un gruppettaro della Seconda e un grillino della Terza sono grosso modo lo stesso animale. Errore blu, e ceffone sonoro inevitabile. Deve essere andata così anche a Beppe Severgnini del Corriere della Sera, il quale ieri sdottoreggiava inconsolabile sulla scarsa urbanità dei grillini: “Gli stellati che non brillano in educazione. Si fossero comportati così Berlusconi, Bersani o Monti avreste detto, giustamente: l’arroganza del potere davanti alle regole”. Che ci può fare, Severgnini, se questi intrusi nel giardino dei desideri giornalistici mostrano un’alterità assoluta rispetto alle sue, alle nostre, regole di società così bizantine e scontate. Andò così anche con Berlusconi, ai tempi del suo esordio in politica, e con i leghisti. Le videocassette del Cav. suonavano come una provocazione e il galateo valligiano dei padani, ancora oggi, non risulta del tutto temperato dalla loro consuetudine con privilegi e sotterfugi parlamentari.

    I 5 stelle si collocano forse in una linea di continuità con i loro predecessori, sebbene i dispositivi tecnologici (siti, blog, tuit e altre sofisticazioni immateriali) siano più moderni, accessibili e così efficaci da offrire l’illusione dell’autarchia. Ma a pensarci con attenzione i grillini sono anche molto diversi: Berlusconi volle irrompere a Palazzo come una linfa rigenerante, i leghisti come un virus buono, loro invece agiscono con la forza corrosiva dell’acido. Il giornalista medio li cerca, si brucia e si adonta fino a volersi vendicare parodiandoli su Internet o inventandosi (è accaduto) dei @Casaleggio farlocchi coi quali poter baloccarsi. Come fanno i fanciulli autistici che finiscono per modellare nell’etere i loro amici invisibili.