Capitalismo terra-aria. Così scricchiola la strategia Benetton
I destini di Alitalia e dei suoi soci sono legati. Ma quelli di un azionista in particolare, la famiglia Benetton, dipendono più di altri dalla sopravvivenza della prima compagnia aerea nazionale. C’è infatti una strategia che lega l’ingresso dei Benetton in Alitalia, tramite Atlantia, risalente a quattro anni fa, e la recente operazione finanziaria per fondere Atlantia e l’immobiliare Gemina (che controlla la Aeroporti di Roma, Adr), entrambe società in mano a Sintonia, la holding dei Benetton. Il filo rosso è evidente se lo si afferra da principio, convengono analisti e osservatori consultati dal Foglio che chiedono di non essere citati.
I destini di Alitalia e dei suoi soci sono legati. Ma quelli di un azionista in particolare, la famiglia Benetton, dipendono più di altri dalla sopravvivenza della prima compagnia aerea nazionale. C’è infatti una strategia che lega l’ingresso dei Benetton in Alitalia, tramite Atlantia, risalente a quattro anni fa, e la recente operazione finanziaria per fondere Atlantia e l’immobiliare Gemina (che controlla la Aeroporti di Roma, Adr), entrambe società in mano a Sintonia, la holding dei Benetton. Il filo rosso è evidente se lo si afferra da principio, convengono analisti e osservatori consultati dal Foglio che chiedono di non essere citati. Una delle prime e fondamentali decisioni prese dal cda della “nuova Alitalia” nel 2009 fu quella di confermare il Piano Prato (2007) e “declassare” l’aeroporto di Milano Malpensa per consacrare invece lo scalo di Fiumicino al ruolo di hub nazionale (per volere del presidente Roberto Colaninno, l’ex ad Rocco Sabelli con l’appoggio di regione Lazio, comune di Roma, Ente nazionale per l’aviazione civile e Adr). Così Alitalia sceglieva di essere romanocentrica. Fiumicino, però, era troppo piccolo per essere un hub europeo (com’è, ad esempio, lo scalo londinese di Heathrow), doveva quindi essere allargato. Nasce così il progetto “Fiumicino 2”, da completarsi nel 2044 con l’aggiunta di una quinta e sesta pista più altre infrastrutture, e portato avanti da Adr, concessionaria dello stato, e vidimato dall’Enac, un ente governativo. E’ un investimento da 12 miliardi, per l’opera infrastrutturale più ambiziosa d’Italia (la Tav costa 8,6 miliardi).
I più critici dicono che non c’è necessità perché basterebbe una razionalizzazione del traffico aereo e un miglioramento della gestione delle strutture esistenti – già arrivate vicine alla saturazione secondo il progetto – con una spesa molto minore e senza altri interventi sul territorio. La politica locale è divisa sul modus operandi: il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, spinge per portare avanti l’opera; il governatore della regione Lazio, Nicola Zingaretti, ufficialmente si oppone ma in colloqui riservati avrebbe una posizione più morbida: pensa sia necessario preservare l’investimento ridiscutendo però le planimetrie e l’uso del suolo.
L’investimento previsto è tanto grande da avere richiesto due interventi preparatori a cavallo tra il 2012 e il 2013. Il primo: uno degli ultimi provvedimenti del dimissionario governo Monti, con un decreto proposto dal ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, e da quello dello Sviluppo economico, Corrado Passera, ha dato il là all’operazione subito dopo Natale permettendo che Adr aumentasse le tariffe aeroportuali in media di 9 euro a passeggero (senza un’Authority dei trasporti a supervisionare o una due diligence per valutarne l’impatto e senza consultare le compagnie aeree) per raccogliere capitali. I ricavi previsti ammontano a 320 milioni di euro in più ogni anno, particolare che aveva spinto all’insù il titolo di Gemina del 30 per cento. Il secondo intervento: la fusione tra la società autostradale Atlantia e quella aeroportuale Gemina – operazione in predicato di essere presentata al governo ma senza una data prevista – è considerata “il punto di approdo di un ampio disegno industriale, volto alla creazione di un operatore di primaria rilevanza internazionale nel settore delle infrastrutture”, stando al comunicato di Atlantia. In più creerà sinergie tra le due società per “la realizzazione del piano di investimenti di Adr per circa 12 miliardi”: i Benetton insomma raccolgono le forze (anche per posizionarsi meglio sul mercato sudamericano). Le modalità con le quali si è preparata la fusione sono discusse dagli analisti finanziari: Sintonia, holding “madre” dei Benetton, ha infatti comprato azioni Atlantia per il 41 per cento degli scambi complessivi avvenuti nella prima metà di febbraio, contribuendo probabilmente a tenere tonico il titolo. Il prezzo delle azioni, sostenuto dagli acquisti in casa Benetton, era decisivo per valutare il valore del concambio – un’azione Atlantia per nove azioni Gemina – al centro della fusione approvata l’8 marzo. La Consob, al momento, dichiara che sono in corso soltanto “normali verifiche di routine”; la fusione infatti è una delle principali operazioni di Borsa previste per il 2013.
I ricorsi tra Tar del Lazio e Bruxelles
Sono ancora diversi gli ostacoli che i Benetton dovranno superare per chiudere il cerchio, oltre alla oggettiva incertezza sul futuro di Alitalia. Innanzitutto due ricorsi pendenti: uno al Tar del Lazio e uno alla Commissione europea, che espongono le criticità dell’ampliamento sia dal punto di vista ambientale sia economico. Rendere edificabili 1.200 ettari, oggi destinati a terreno agricolo e riserve naturali, costituisce un introito potenzialmente enorme per Adr ma, secondo la denuncia del comitato civico FuoriPista, attivo a Fiumicino, ciò andrebbe contro la “direttiva habitat” dell’Unione europea che tutela flora e fauna selvatica. Da qui l’esposto a Bruxelles. Il comitato denuncia anche che le clausole di salvaguardia ambientale sono state sì contenute nel piano aeroporti (ora fermo alla Conferenza stato-regioni), ma che questo piano è stato approvato solo un mese dopo l’avallo governativo al contratto di programma Adr. E, quindi, a Fiumicino, non c’è stata una verifica pregressa dell’impatto secondo le norme comunitarie.
La lobby delle compagnie aeree, Assaereo, ha invece fatto ricorso al Tar del Lazio denunciando che “attraverso fantasiosi artifizi regolatori tutti a favore del Gestore aeroportuale” si “determina un notevole aumento dei costi per le compagnie aeree e per i passeggeri che assicureranno ricavi totali per Adr ben superiori alle effettive esigenze di investimento”, dal momento che gli aumenti sono scattati lo scorso 9 marzo ma “l’entrata in esercizio di gran parte delle nuove opere è prevista dal 2016”. Curioso che uno dei principali attori di Assaereo sia Alitalia, partecipata all’8,8 per cento dai Benetton. In Assaereo ci sono perplessità riguardo alla possibilità che Fiumicino diventi un hub. E’ certo che l’aumento tariffario farà calare il numero di passeggeri: lo stesso ad di Adr, Lorenzo Lo Presti, stima un calo del traffico del 3,6 per cento a fine 2013. Fare di Fiumicino un grande polo nazionale, inoltre, non basta se Alitalia, che ha visto crollare la sua quota di mercato italiano al minimo storico del 21 per cento, non saprà sfruttarlo. Dice al Foglio l’ex dirigente di una compagnia: “Avere un aeroporto più ricettivo, soprattutto in una capitale, è in linea con quanto accade in Europa. Occorre capire se Alitalia avrà una strategia per utilizzarlo affinché non resti uno scalo di passaggio”. Un altro problema per l’azionista e imprenditore Benetton.
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