La Cia contro Assad
La campagna stampa di Obama per fare la guerra in Siria senza dirlo
L’Amministrazione Obama sta gestendo una massiccia campagna stampa sui giornali americani per spiegare – senza però fare annunci – di essere entrata in guerra al fianco dei ribelli siriani contro il governo del presidente Bashar el Assad, con alcune riserve dettate dal timore delle fazioni estremiste ispirate ad al Qaida. L’apertura di venerdì del Wall Street Journal – scritta grazie a fonti loquaci dei servizi segreti – racconta che la Cia sta aiutando i ribelli siriani con informazioni di intelligence.
L’Amministrazione Obama sta gestendo una massiccia campagna stampa sui giornali americani per spiegare – senza però fare annunci – di essere entrata in guerra al fianco dei ribelli siriani contro il governo del presidente Bashar el Assad, con alcune riserve dettate dal timore delle fazioni estremiste ispirate ad al Qaida. L’apertura di venerdì del Wall Street Journal – scritta grazie a fonti loquaci dei servizi segreti – racconta che la Cia sta aiutando i ribelli siriani con informazioni di intelligence. L’apertura di ieri del New York Times è tutta sul ruolo decisivo della Cia nella gigantesca operazione logistica tra Europa, Turchia e paesi arabi per fornire armi ai ribelli siriani.
Questa ricostruzione per il New York Times è firmata da due punte del giornale, C. J. Chivers ed Eric Schmitt, ed è stata fatta anche grazie ai registri di volo e alle comunità di appassionati che annotano i numeri d’identificazione dei velivoli (in passato furono scoperte così le extraordinary rendition della Cia) ed è una lettura affascinante. Negli ultimi mesi più di 160 voli di aerei cargo hanno portato almeno 3.500 tonnellate di materiale bellico – ma è una stima per difetto – a gruppi ribelli siriani scelti dall’intelligence americana perché non sono estremisti. Le armi sono passate – e passano ancora – soprattutto per l’aeroporto Esenboga vicino Ankara e per altre piste minori in Turchia, Giordania e Qatar e hanno permesso alla guerriglia di rovesciare il rapporto di forza – prima a favore del governo – in tutto il nord del paese, in particolare nella regione di Idlib, e anche di arrivare a combattere nella capitale (ieri per il secondo giorno consecutivo sono caduti colpi di mortaio sul quartier generale delle Forze armate nella centralissima piazza degli Omayyadi di Damasco).
La frequenza dei voli si è intensificata lo scorso autunno dopo le elezioni americane e grazie a un accordo con il governo turco, per trasferire in Siria “una cataratta di armi” – come la definisce un funzionario americano in congedo che è informato sull’operazione. Ma queste importazioni erano cominciate da tempo in misura minore. Il quotidiano di New York scrive che nelle notti tra il 26 aprile e il 4 maggio 2012 un C-17 dell’aviazione del Qatar (è un aereo cargo gigantesco prodotto in America) è atterrato sei volte all’aeroporto Esenboga vicino Ankara. Poi è arrivato altre 14 volte, prima dell’8 agosto, e tutte le volte proveniva da al Udeid, in Qatar, che è una base militare anche americana – è la sede avanzata in medio oriente del Central Command del Pentagono. Se ce ne fosse bisogno, è una conferma che gli americani hanno preso parte all’operazione.
Il Central Command è stato diretto tra il 2008 e il 2010 dal generale David Petraeus, poi diventato direttore della Cia. Il Nyt scrive di sapere che Petraeus ha avuto un ruolo centrale in questa operazione logistica internazionale per trasferire le armi, “ma ora non risponde alle nostre mail”.
A novembre si sono uniti al traffico anche i C-130 della aviazione reale militare della Giordania, e poi due Ilyushin – un altro tipo di cargo, ancora più capiente – della Jordanian International Air Cargo, una compagnia privata fittizia per mascherare le attività dei giordani, e anche l’aviazione reale saudita. I voli sono diventati almeno uno ogni giorno soprattutto da Zagabria, in Croazia. Poi il materiale bellico passava via terra dalla Turchia, a nord – il governo di Ankara seguiva gli spostamenti dei camion con radiotrasmittenti – e dalla Giordania, a sud.
Il direttore della compagnia aerea giordana ha negato tutto al New York Times – “Sono tutte bugie” – e persino di avere a disposizione gli aerei Ilyushin, che però campeggiano in foto sulla homepage aziendale (ora sono stati tolti).
Lo scoop di venerdì del Wall Street Journal è altrettanto essenziale. La Cia passa ai ribelli siriani informazioni di intelligence che raccoglie grazie alle immagini satellitari ma anche grazie ai servizi segreti israeliani e giordani, “i più presenti in Siria”. L’idea alla base della collaborazione è che le informazioni contro il governo di Assad scadranno, sono temporanee, e quindi sono meno pericolose delle armi che invece resteranno in circolazione – e che comunque, come ha dimostrato il New York Times tre giorni dopo, arrivano anche grazie alla Cia. Tra le informazioni passate ai ribelli: gli spostamenti delle truppe e dei mezzi di Assad, i siti di lancio dei missili Scud, l’ubicazione dei depositi di armi e munizioni.
Come succede con le armi, la Cia fornisce intelligence ai gruppi ribelli soltanto dopo una fase di “vetting”, di verifica dei requisiti: non devono appartenere alle fazioni estremiste come Jabhat al Nusra, messa a dicembre sulla lista dei “terroristi globali”. Anzi, armi e informazioni nelle intenzioni di Washington devono controbilanciare lo strapotere dei gruppi islamisti, che sono in vantaggio su tutti nella campagna militare contro Assad e stanno già amministrando pezzi di territorio. L’intelligence americana intercetta comunicazioni tra Jabhat al Nusra, il gruppo gemello di al Qaida in Iraq e i leader di al Qaida ancora nascosti in Pakistan.
Il patto funzionale tra Cia e ribelli è stato chiesto da Israele – scrive il Wall Street Journal – che teme che i gruppi più fanatici domineranno il dopo Assad. Ieri il generale israeliano Yair Golan, comandante del settore nord che confina con Libano e Siria, ha parlato alla radio dell’esercito della possibilità di creare una zona cuscinetto di sicurezza in Siria, appena al di là del confine. Secondo Golan l’esercito israeliano assume già fin d’ora che i gruppi estremisti attaccheranno Israele dopo avere finito con Assad, e per questo potrebbe essere necessaria questa ipotetica zona di interposizione affidata a forze locali. Il generale non spiega chi potrebbero essere questi gruppi ribelli disposti a trovare un’intesa con il governo di Gerusalemme o se invece non sarà necessario l’intervento di terra dei militari israeliani.
Secondo il Los Angeles Times, la Cia sta anche compilando una lista di militanti siriani che potrebbero diventare obbiettivi di attacchi con i droni in un prossimo futuro. Armi e intelligence ad alcuni gruppi, killing list per altri, come se dentro la Siria in guerra la differenza fra le due categorie fosse chiara e netta.
Mentre l’Amministrazione Obama rende pubblico il sostegno ai ribelli nella battaglia contro il governo, l’opposizione politica basata fuori dalla Siria ancora una volta si sta dissolvendo. Il capo del Consiglio nazionale siriano, Moaz al Khatib, uno dei pochi personaggi credibili, si è dimesso domenica accusando implicitamente il Qatar e la Fratellanza musulmana di ingerenze esterne. Khatib in particolare sospetta Ghassan Hitto, un Fratello musulmano siriano di Dallas appena eletto “primo ministro del governo di transizione”. E ieri un comandante simbolo dei ribelli, Rifaat al Asaad, è stato quasi ucciso lontano dalla prima linea da una bomba nascosta nella sua auto.
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