Consultazioni parallele

Bersani fa il duro con Alfano, alle sue spalle il Pd tratta con il Cav.

Salvatore Merlo

Consultazioni ufficiali che vanno malissimo e consultazioni parallele che nascondono il lieto miraggio della concordia nazionale. Il pazzotico teatro post elettorale, gravato dal sospetto dell’inciucio e oppresso dalla sindrome di compiacere Grillo, costringe il Pd e il Pdl a oscure e drammatiche contorsioni per scongiurare il voto anticipato che non vuole l’Europa, e che non sembrano volere nemmeno i mercati agitati dal bailout di Cipro e dalla minaccia di un nuovo declassamento del debito italiano. Così Angelino Alfano incontra Pier Luigi Bersani a Montecitorio e i due segretari, alla luce del sole, non si capiscono e non si riconoscono, non ci sono garanzie che reggano né offerte convincenti per nessuno dei due.

    Consultazioni ufficiali che vanno malissimo e consultazioni parallele che nascondono il lieto miraggio della concordia nazionale. Il pazzotico teatro post elettorale, gravato dal sospetto dell’inciucio e oppresso dalla sindrome di compiacere Grillo, costringe il Pd e il Pdl a oscure e drammatiche contorsioni per scongiurare il voto anticipato che non vuole l’Europa, e che non sembrano volere nemmeno i mercati agitati dal bailout di Cipro e dalla minaccia di un nuovo declassamento del debito italiano. Così Angelino Alfano incontra Pier Luigi Bersani a Montecitorio e i due segretari, alla luce del sole, non si capiscono e non si riconoscono, non ci sono garanzie che reggano né offerte convincenti per nessuno dei due. Niente da fare, dunque: “Se va avanti così dovremo andare al voto anticipato”, dice Alfano mentre torna rabbuiato a riferire dell’insuccesso al grande capo Silvio Berlusconi che intanto attende notizie nella sua villa di Arcore. Ma contemporaneamente lo stesso Alfano, raggiunto un angolo buio della Camera telefona a Enrico Letta, l’ambasciatore del Pd, quarantenne come lui, e tutto cambia all’improvviso, il tono, la voce, il volto: di fronte a entrambi si spalanca l’orizzonte luminoso di un accordo possibile, i tratti del viso si fanno meno rigidi, nell’ombra si considerano opzioni e garanzie, si abbandona la teoria e si srotola una bozza di accordo che prevede il “sì” del Pdl alla fiducia in cambio di una parola certa sul prossimo presidente della Repubblica e sulla natura del nuovo governo.

    E deve esserci una strana forza magnetica nei corridoi laterali del Palazzo, quelli meno frequentati e meno illuminati, così come devono essere intense e suggestive le telefonate a tarda sera tra il gran visir del berlusconismo, Letta il Vecchio – Gianni – e il suo antico amico-nemico, la volpe baffuta e mai pensionata Massimo D’Alema: “Dopo Pier Luigi non c’è il diluvio”. Se Bersani fallisce, che succede? Esiste il governo del presidente? Bersani non ha i numeri e Alfano non lo ha convinto. Così, tra timore e scetticismo, con i gruppi parlamentari che tremano all’idea di riconsegnarsi al giudizio fortuito delle urne, si consuma il rito delle consultazioni parallele.

    Bersani insiste, e lo farà ancora con Giorgio Napolitano: o l’incarico a me, o il voto. Il resto del Pd è incerto, nessuno vuole alimentare tensioni interne, ma da via del Nazareno sale un insistente borbottìo, viene già attribuita a Matteo Renzi l’intenzione di staccarsi, di costruire un suo movimento autonomo. Sono le ultime ore del Pd? La paura è forte e se Napolitano non incaricasse Bersani per nominare un altro premier, se insomma il presidente puntasse a un governo di scopo, per il Pd sarebbero guai seri: il rischio dell’esplosione si farebbe concreto, si dovrebbe andare a una tesissima conta tra i sostenitori dell’inciucio con il Caimano e il resto del mondo. E infatti è di questo che si parla, sempre di più nelle ultime ore, e con paura persino: è attorno a questo scenario atomico che si consumano le ultime contorsioni oscure di Pd e Pdl: le trattative inafferrabili e segrete, quelle consultazioni parallele che, per quanto possano sembrare evanescenti o inverosimili, continuano a correre sul filo del telefono.

    D’altra parte Berlusconi non teme le urne, ed è pronto ad accettare con una scrollata di spalle le conseguenze del fallimento di Bersani, cioè il rapido precipitare verso il voto anticipato. Ma tuttavia il Cavaliere, se gli riuscisse, vorrebbe comunque scansarle le elezioni, preferirebbe evitare la roulette del voto per agganciare almeno qualche certezza in questa legislatura: il nuovo presidente della Repubblica. La penosa storia dei Marò e le ambigue dimissioni del ministro Terzi, con il carico di accuse e polemiche rivolte contro Mario Monti (e di riflesso contro Napolitano), ieri hanno avuto un effetto traumatico sui gruppi parlamentari montiani. Di fatto il professor Monti non è più in grado di assicurare al Pd la compattezza dei suoi uomini in Parlamento: in sostanza ieri è evaporata la maggioranza Pd-Scelta civica, quella che avrebbe potuto eleggere da sola, senza aiuti esterni, il nuovo capo dello stato. Così, pur nella confusione già crepuscolare di una legislatura nata malissimo, i giochi tra Pd e Pdl si sono riaperti e l’urgenza di negoziati si è fatta persino più pressante.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.