Inseguita dai creditori, mollata dai russi, Cipro teme un epilogo turco

Dimitri Deliolanes

Nel suo proclama televisivo, lunedì sera, il presidente di Cipro Nicos Anastasiades sembrava molto imbarazzato. Nervoso, con la voce rotta, sbagliava la pronuncia e le parole. In sostanza si è limitato a ripetere quello che aveva detto otto giorni prima: “Abbiamo evitato un fallimento incontrollato”, è una “soluzione dura ma ce la faremo”. Ben pochi ne sono convinti. Quello che hanno capito i ciprioti è di aver perso. Dopo l’invasione turca del 1974 avevano costruito la loro economia su due piloni, turismo e intermediazione finanziaria. Ora le banche cipriote sono crollate, chiuse o ristrutturate e, la cosa peggiore, ferite per sempre nella loro affidabilità.

    Atene. Nel suo proclama televisivo, lunedì sera, il presidente di Cipro Nicos Anastasiades sembrava molto imbarazzato. Nervoso, con la voce rotta, sbagliava la pronuncia e le parole. In sostanza si è limitato a ripetere quello che aveva detto otto giorni prima: “Abbiamo evitato un fallimento incontrollato”, è una “soluzione dura ma ce la faremo”.
    Ben pochi ne sono convinti. Quello che hanno capito i ciprioti è di aver perso. Dopo l’invasione turca del 1974 avevano costruito la loro economia su due piloni, turismo e intermediazione finanziaria. Ora le banche cipriote sono crollate, chiuse o ristrutturate e, la cosa peggiore, ferite per sempre nella loro affidabilità. Nessun investitore, né oligarca russo né speculatore britannico, si fiderà più di loro. Forse apriranno domani, ma per bloccare la fuga di capitali il governo pensa di imporre restrizioni almeno fino alla fine dell’anno.

    Insieme con le banche se ne va anche il 7 per cento del pil dell’isola, per ora. Ma la recessione durerà parecchio. Schäuble lo aveva detto: per Cipro ci vuole un altro modello economico. E quello che dice Schäuble oramai è legge in Europa.
    Eppure il Parlamento cipriota ha avuto il merito storico di essere stato il primo e l’unico a dire un sonoro “no” al diktat tedesco. Un no eroico, ma difficile da gestire politicamente. Il governo, poco convinto, ha cercato in extremis il sostegno russo, incassando un cortese rifiuto: Mosca allungherà i tempi per la restituzione del debito di 2,5 miliardi del 2011 e ne abbasserà il tasso, ma nulla di più: Anastasiades aveva detto sì all’esproprio dei depositi russi e prima ancora aveva vinto le elezioni promettendo l’adesione alla Partnership for Peace. Perché aiutarlo?

    Parlando con i colleghi ciprioti, il niet russo preoccupa forse più del diktat tedesco. I rapporti con Mosca sono sempre stati molto cordiali, fin dall’epoca dell’Unione sovietica, indipendentemente dal colore del presidente cipriota. Per la prima volta dall’indipendenza del 1960, Cipro scopre di essere disperatamente sola. La rete di alleanze che aveva costruito con tanta fatica (e non poca scaltrezza orientale), anche per ripararsi dalla minaccia turca, si è sgretolata in pochi giorni. Perfino l’intesa cordiale con Israele, basata sul comune sfruttamento delle risorse sottomarine, è sembrata vacillare dopo la telefonata di scuse fatta da Netanyahu a Erdogan, in presenza di Obama. Per Cipro, Israele è molto importante: costituisce l’unica difesa contro le cannoniere turche che scorrazzano tra le piattaforme marine.

    Il disastro finanziario non rimarrà quindi senza conseguenze geopolitiche. Molti si ricordano che Anastasiades nel 2004 si era schierato in favore di un piano Onu di riunificazione dell’isola, preparato da Londra e Washington, tagliato e cucito in base alle esigenze di Ankara, poi fortunatamente respinto dai greco-ciprioti. Ora che il paese è in ginocchio, è molto probabile che si riscaldi la stessa minestra. E anche le ingenti risorse energetiche sottomarine, scoperte negli ultimi anni, da benedizione che erano rischiano di diventare una condanna. Ankara lo ha ribadito proprio in questi giorni: i giacimenti appartengono anche ai turco-ciprioti, sostiene, dimenticandosi che proprio le sue armate hanno spinto questa comunità cipriota (18 per cento del totale) a creare il proprio “stato” separatista a nord dell’isola, non riconosciuto da nessuno. Un nuovo piano Onu potrà aiutare Ankara a dare una parvenza di legalità alle sue pretese su tutta Cipro.
    Probabilmente il più lucido tra gli esponenti politici dell’isola si è dimostrato il capo della chiesa ortodossa Crisostomo II: “Se dobbiamo comunque fallire – si è chiesto – non è meglio farlo da soli, alle nostre condizioni?”. Molti deputati, anche della maggioranza, hanno preso in seria considerazione la sua proposta. L’opzione di uscire dall’Eurozona è stata a lungo dibattuta in Parlamento e per alcuni è ancora in gioco.