Perugia nera
Si ricomincia da capo, si riaccendono le luci, bisognerà cercare in cantina il plastico della villetta di Perugia, dove nel 2007 venne assassinata Meredith Kercher. Amanda Knox aveva ventiquattro anni quando venne assolta in appello con formula piena, e ne aveva trascorsi quattro in prigione. Raffaele Sollecito ne ha compiuti ventinove ieri, il giorno in cui l’incubo ha ripreso vita: sentenza nulla, processo spostato a Firenze, mentre Perugia mostra di nuovo il suo fondo torbido con un altro omicidio, un altro ragazzo ammazzato.
Si ricomincia da capo, si riaccendono le luci, bisognerà cercare in cantina il plastico della villetta di Perugia, dove nel 2007 venne assassinata Meredith Kercher. Amanda Knox aveva ventiquattro anni quando venne assolta in appello con formula piena, e ne aveva trascorsi quattro in prigione. Raffaele Sollecito ne ha compiuti ventinove ieri, il giorno in cui l’incubo ha ripreso vita: sentenza nulla, processo spostato a Firenze, mentre Perugia mostra di nuovo il suo fondo torbido con un altro omicidio, un altro ragazzo ammazzato. Si ricomincia da capo, con le foto di una ragazza dagli occhi troppo azzurri, che i giornali avevano soprannominato la Venere in Pelliccia, e il ragazzo soggiogato, il Signor Nessuno che Amanda avrebbe plagiato. Anche se la Cassazione non dovrebbe entrare nel merito della vicenda, ma verificare che sia stata correttamente applicata la legge processuale, l’impressione è che sia ricominciato il processo emozionale. Quello in cui ci si gioca la vita in base all’antipatia, ai sentimenti e alle contrapposizioni fra giudici, dove la cosa più importante non è la verità, ma la bravura delle parti: l’onorabilità della polizia scientifica, l’inadeguatezza di questo o quel giudice, il successo delle indagini e l’idea che un’assoluzione è sempre una sconfitta. Il procuratore generale della Cassazione ha sostenuto, nella sua requisitoria, che “il giudice di merito ha smarrito la bussola” e che “la Corte ha usato una buona dose di snobismo nel banalizzare la sentenza di primo grado, riducendola a quattro elementi. Una sintesi molto approssimativa e superficiale”.
Secondo il procuratore è stato gettato fango sulla polizia scientifica: “Imputare tutto a questi pasticcioni della scientifica, che non sono brigadieri, con tutto il rispetto, che giocano a fare il piccolo chimico, ma un reparto altamente specializzato, è non congruo” (però l’impronta di scarpa non era quella di Raffaele Sollecito, il Dna era amido di patate), e i due ragazzi avrebbero goduto di “una sorta di immunità antropologica e culturale rispetto ai fatti”. Con quattro anni di prigione e una sentenza che li ha definiti innocenti, con mille pagine di giornale che li ritraevano come pianificatori di delitti a sfondo erotico, la loro immunità non era parsa così salda. Ma se non sono stati loro, allora chi è stato? E’ questa la domanda spaventosa, pericolosa, perché l’effetto è la ricerca non della verità processuale, ma di un colpevole in prigione. “Sussistono tutti i presupposti perché non cali definitivamente il sipario su questo delitto sconvolgente e gravissimo, il cui unico responsabile è il lombrosianamente delinquente Guede e pare che egli abbia commesso l’omicidio con degli ectoplasmi”, ha detto il procuratore generale, e allora quegli ectoplasmi devono essere per forza Amanda e Raffaele, troppo bianchi, belli e benestanti per essere davvero innocenti. Due anni fa il pubblico ministero chiedeva la non assoluzione di Amanda, perché altrimenti sarebbe “fuggita” in America, come se l’assoluzione non bastasse a rendere un imputato un cittadino libero. Ma per i giudici di secondo grado non era possibile una sentenza di colpevolezza “al di là di ogni ragionevole dubbio”, e furono lacrime di gioia che appagarono le telecamere e i talk show.
Ora che quell’assoluzione è stata annullata, si riparte dall’ultimo spettacolo, come nelle serie televisive, e di nuovo i gancetti del reggiseno, i baci e quegli occhi troppo azzurri saranno i protagonisti delle nuove puntate.
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