Niente diretta tv

Il Papa trasforma il galateo della lavanda in “servizio”

Matteo Matzuzzi

Nessuna diretta televisiva per la messa in Coena Domini di ieri pomeriggio celebrata dal Papa nel penitenziario minorile di Casal del Marmo, a Roma. Giornalisti tenuti a debita distanza, “all’esterno dell’edificio”, come aveva fatto sapere qualche giorno fa la Sala stampa della Santa Sede. Ammessa solo la Radio vaticana,  che ha trasmesso dal vivo l’evento, accompagnato dai canti e dalle chitarre dei detenuti. Francesco ha voluto una celebrazione “semplice e intima”. E così è stato. Da sempre la lavanda dei piedi nel Giovedì santo avveniva nella cornice della Basilica di San Giovanni in Laterano, lì dove è posta la cattedra del vescovo di Roma.

    Nessuna diretta televisiva per la messa in Coena Domini di ieri pomeriggio celebrata dal Papa nel penitenziario minorile di Casal del Marmo, a Roma. Giornalisti tenuti a debita distanza, “all’esterno dell’edificio”, come aveva fatto sapere qualche giorno fa la Sala stampa della Santa Sede. Ammessa solo la Radio vaticana,  che ha trasmesso dal vivo l’evento, accompagnato dai canti e dalle chitarre dei detenuti. Francesco ha voluto una celebrazione “semplice e intima”. E così è stato. Da sempre la lavanda dei piedi nel Giovedì santo avveniva nella cornice della Basilica di San Giovanni in Laterano, lì dove è posta la cattedra del vescovo di Roma. Ma Bergoglio non ha ancora preso possesso della sua cattedrale (lo farà nel pomeriggio di domenica 7 aprile) e così il cerimoniale aveva previsto di celebrare la messa a San Pietro. Francesco ha invece chiesto di andare in un carcere,  perché “l’unzione del Signore è per i poveri, per i prigionieri, per i malati e per quelli che sono tristi e soli”, diceva ieri mattina durante l’omelia della messa del Crisma. A Buenos Aires lo faceva sempre, ogni Giovedì santo. Tra i derelitti e i malati, negli ospizi e nelle periferie, aveva ricordato lui stesso in occasione della messa nella parrocchia di S. Anna in Vaticano, pochi giorni dopo la sua elezione a Pontefice. “L’unzione non è per profumare noi stessi e tanto meno perché la conserviamo in un’ampolla, perché l’olio diventerebbe rancido, e il cuore amaro”, ha aggiunto ieri mattina il Papa.

    Accanto a lui, sull’altare della piccola cappella dell’istituto penale di Casal del Marmo c’erano il cardinale vicario per la diocesi di Roma, Agostino Vallini, e padre Gaetano Greco (il terziario cappuccino cappellano del carcere minorile). Il penitenziario ospita quarantasei detenuti, di cui undici sono ragazze. Tutti hanno un’età compresa tra i 14 e i 21 anni. Molti di loro sono analfabeti.

    “Non lasciatevi rubare la speranza”
    “Lavare i piedi – ha detto il Papa nella breve omelia – significa dire: ‘Io sono al tuo servizio’. E anche per noi, cosa significa questo? Che dobbiamo aiutarci. Aiutarci l’un l’altro: questo è ciò che Gesù ci insegna ed è quello che io faccio. E lo faccio di cuore, perché è mio dovere. Come prete e come vescovo devo essere al vostro servizio. Ma è un dovere che mi viene dal cuore: lo amo. Amo questo e amo farlo perché il Signore così mi ha insegnato”. Terminata l’omelia, Francesco (vestito di un semplice grembiule) ha lavato i piedi a dodici detenuti, scelti per nazionalità e confessione religiosa diversa. Per la prima volta, anche a due ragazze, tra cui una serba di fede musulmana. In Vaticano qualcuno aveva avanzato qualche perplessità, ricordando che le norme e la tradizione prevedono che la lavanda venga fatta ai soli maschi, ma poi – ha spiegato padre Greco – hanno accettato. Al termine della messa, nella palestra del carcere, il Papa ha rivolto ancora qualche parola ai detenuti: “Cari ragazzi, sono felice di stare con voi. Forza, avanti, non lasciatevi rubare la speranza”. Poi, ha salutato uno a uno i reclusi, regalando loro un uovo di Pasqua, una colomba, un ricordo dell’evento.  I ragazzi hanno ricambiato, donando a Francesco un crocifisso francescano e un inginocchiatoio di legno.

    In mattinata, durante l’omelia della messa del Crisma celebrata in San Pietro con 1.600 presbiteri, Bergoglio aveva detto che “il sacerdote che esce poco da sé si perde il meglio del nostro popolo, quello che è capace di attivare la parte più profonda del suo cuore presbiteriale”. Chi non esce da sé, continuava il Papa, “invece di essere mediatore diventa a poco a poco un intermediario, un gestore”. E chi non mette in gioco il proprio cuore “non riceve un ringraziamento affettuoso. E’ da qui che deriva l’insoddisfazione di alcuni, che finiscono per essere preti tristi, trasformati in una sorta di collezionisti di antichità oppure di novità”. E’ necessario, ha detto ancora il Pontefice – che ha intanto nominato il vescovo Mario Poli suo successore a Buenos Aires –, che i sacerdoti escano, vadano “nelle periferie dove c’è sofferenza e sangue versato”. Non è nelle “autoesperienze o nelle introspezioni reiterate che incontriamo il Signore: i corsi di autoaiuto nella vita possono essere utili, però vivere la nostra vita sacerdotale, passando da un corso all’altro, di metodo in metodo, porta a minimizzare il potere della grazia”.

    • Matteo Matzuzzi
    • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.