L'arabesco pre elettorale del Cav.

Salvatore Merlo

Quanto più il momento sembra politico, tanto più si avvicina al puro gioco di scommessa. Dunque i giocatori, Silvio Berlusconi e Pier Luigi Bersani, si guardano attraverso il tavolo italiano con gli occhi pieni di politica. Ma il rischio delle elezioni anticipate non basta ad abolire l’azzardo, le urne sono al contrario il bluff di entrambi. Così Berlusconi, chiuso ad Arcore, organizza una grande manifestazione elettorale per il 13 aprile a Bari, muove pullman di sostenitori (“settecentocinquanta autobus”) come fossero carrarmatini del Risiko, ma pure, con la mano sinistra, spinge Angelino Alfano a casa di Enrico Letta per proporre un uomo del centrodestra al Quirinale.

    Quanto più il momento sembra politico, tanto più si avvicina al puro gioco di scommessa. Dunque i giocatori, Silvio Berlusconi e Pier Luigi Bersani, si guardano attraverso il tavolo italiano con gli occhi pieni di politica. Ma il rischio delle elezioni anticipate non basta ad abolire l’azzardo, le urne sono al contrario il bluff di entrambi. Così Berlusconi, chiuso ad Arcore, organizza una grande manifestazione elettorale per il 13 aprile a Bari, muove pullman di sostenitori (“settecentocinquanta autobus”) come fossero carrarmatini del Risiko, ma pure, con la mano sinistra, spinge Angelino Alfano a casa di Enrico Letta per proporre un uomo del centrodestra al Quirinale. Offerte che Bersani rifiuta con l’aria di chi ha delle buone carte in mano,“vedrete che venerdì nasce il mio governo”, mentre allo stesso tempo, quasi distrattamente, come se la cosa non lo riguardasse, il segretario fa in modo che il suo Maurizio Migliavacca sussurri una controproposta nell’orecchio dell’ambasciatore avversario, Denis Verdini.

    “Dateci la fiducia e poi vediamo per il Quirinale. Altrimenti si va alle elezioni”; “no, assicurateci il Quirinale e noi votiamo la fiducia. Altrimenti si va alle elezioni”. Bluff e contro bluff. Fino alla mossa più azzeccata di Bersani, l’ultima, quella per lui meno compromettente ma pure efficacissima: accarezza la vanità meglio riposta dal Cavaliere. “Potreste avere voi la presidenza di una nuova bicamerale, una commissione costituente”, fa sapere Bersani a Berlusconi. E così una tentazione s’insinua nella mente del Cav., non c’è nessuna immagine di sé che a Berlusconi piace più di quella in cui può specchiarsi legittimato dal capo del partito avversario, consegnato a un ruolo istituzionale, alla presidenza di una commissione che accompagni, come dice la fidata Mariastella Gelmini, “un governo di concordia nazionale”. L’Italia politica non è il paese delle situazioni nette, ma dell’arabesco. Non esiste Parlamento che ami sciogliersi, non c’è leader che rinunci al governo per tentare la fortuna delle urne: non ci sono patti espliciti, ma tutto è obliquo. L’inciucio è una virtù italiana. Così, se Bersani tira dritto, lanciato come sembra verso il fallimento, è solo perché in realtà sa di essere a un passo dal successo, il segretario ha trovato un varco, da qualche parte ora si può passare.

    Bersani, che non è una testa quadra, avanza con troppa sicumera verso il baratro del suicidio politico – dove sono i numeri certi che gli chiede Giorgio Napolitano? – per non avere invece un piano articolato e una prospettiva. Così ciascuno recita la sua parte. Berlusconi, ad Arcore, offre il suo silenzio alla patria, e tocca ad Alfano fare il duro a Roma: “Bersani è in un vicolo cieco, la vicenda è chiusa”. Insomma il dramma deve raggiungere il climax, il punto più alto, prima di potersi risolvere. La partita è ancora lunga e Napolitano – “nella sua profonda saggezza”, come dice D’Alema – ha dilatato i tempi, pare fino a venerdì prossimo, perché si possano consumare offerte e contro-offerte, bluff e contro bluff, la bicamerale in cambio della fiducia, con il miraggio del Quirinale sullo sfondo: quell’oscuro oggetto del desiderio cui tutti, sotto sotto, sono disposti a rinunciare. Circola già un profilo terzo, né di centrodestra né di centrosinistra, un arbitro cercasi per il Quirinale. Ma ovviamente il Cavaliere fa sapere di non essere interessato e scrolla le spalle, protesta di volere Gianni Letta o Antonio Martino alla presidenza della Repubblica, o in alternativa pretende di entrare con i suoi uomini in un futuribile governo del presidente, agita pure il fantasma delle urne anticipate e dei sondaggi “che mi danno la vittoria”. Ma non parla in pubblico, lascia che siano gli altri a interpretare i suoi silenzi studiati per questa estenuante partita con la quale avanza contorta la politica italiana ai tempi di Beppe Grillo. E dunque anche Miguel Gotor, il senatore e professore amico di Bersani, ammette che “gli ultimi presidenti della Repubblica sono stati tutti in qualche modo vicini al centrosinistra”, e per un po’ la partita dunque si fa ariosa, sembra che si possa concedere, ma poi Bersani chiude di nuovo, in una strana contrattazione che tuttavia più si attorciglia su se stessa più in realtà sembra avvicinarsi allo scioglimento finale: perché le elezioni non le vuole nessuno e la legislatura costituente, con la dolce bicamerale, è lì nascosta dietro le pieghe di ogni parola e di ogni offerta scambiata nel buio. “Se si va verso le elezioni anticipate salta la trattativa per la presidenza della Repubblica, e quelli al Quirinale poi ci mettono Prodi”, dice Raffaele Fitto quasi percorso da un brivido. La sola ipotesi spalanca prospettive vertiginose.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.