Prima le fiamme, poi Bersani. Storia breve delle sfighe dello Jovinelli

Marianna Rizzini

Prima l’incendio che si aggrappa a tutto, alle poltrone di velluto e al sipario, alla mobilia da teatro stile liberty e ai drappi del foyer un tempo brulicante di signore, signori, fan di Totò e seguaci urlanti di pugili suonati. Poi un lungo oblio, con la piazza antistante trasformata in deserto di cemento, paradiso dello spaccio all’Esquilino. Poi il rilancio, la gloria, il sequestro, il limbo, lo stop e infine una rinascita soltanto apparente: e allora gli uomini di spettacolo la chiamano “maledizione” o “sortilegio”, la prossima (ennesima) chiusura del teatro Ambra Jovinelli, con la superstizione da palcoscenico, anche se nessuno ha indossato il vestito viola la sera della prima.

    Prima l’incendio che si aggrappa a tutto, alle poltrone di velluto e al sipario, alla mobilia da teatro stile liberty e ai drappi del foyer un tempo brulicante di signore, signori, fan di Totò e seguaci urlanti di pugili suonati. Poi un lungo oblio, con la piazza antistante trasformata in deserto di cemento, paradiso dello spaccio all’Esquilino. Poi il rilancio, la gloria, il sequestro, il limbo, lo stop e infine una rinascita soltanto apparente: e allora gli uomini di spettacolo la chiamano “maledizione” o “sortilegio”, la prossima (ennesima) chiusura del teatro Ambra Jovinelli, con la superstizione da palcoscenico, anche se nessuno ha indossato il vestito viola la sera della prima. Non se la spiegano e dicono: “Di nuovo? Adesso che si era ripreso?”. Perché quello che dal primo luglio, se nulla cambia, tornerà nel novero dei teatri fantasma della città di Roma è il teatro storico di Ettore Petrolini – e del varietà, dell’avanspettacolo, dei concorsi canori, dei primi film del Dopoguerra, della gare sportive, degli spogliarelli, di un declino dolce (anni Settanta) nella nicchia dei locali a luci rosse, ma anche della stagione più pop del rutellismo beautiful e poi del veltronismo “à la Dandini” (direttore artistico dal 2001 al 2009), con la sua autoreferenzialità da tribù artistico-politica e il suo debole per gli spettacoli di Marco Travaglio e per le manifestazioni (anche mondane) degli indignados d’epoca pre Cinque stelle, sospesi tra vecchi girotondi, nuovi popoli viola e pensieri ispirati dai “no Cav.” nordici che la sera, a Milano, intanto andavano al Palavobis (poi Palasharp).

    L’aveva scelto anche Pier Luigi Bersani, l’Ambra Jovinelli, un mese fa, accompagnato da un Nanni Moretti non più Cassandra e anzi pronto a perdonare i dirigenti che non vincono mai (e guarda poi cosa gli tocca vedere). E pareva già la rappresentazione plastica del confino, quella serata a due passi da piazza San Giovanni scippata dai grillini – si faceva finta di nulla, nel festeggiare ansioso allo Jovinelli, rimpatriata preventivamente consolante seppure non ancora presagio di sventura (e di calvario bersaniano). Era comunque “casa”, l’ex regno veltronian-dandiniano dei fratelli Guzzanti, di Daniele Luttazzi, di Moni Ovadia, di Paolo Rossi, di Ascanio Celestini, e di Neri Marcoré, di Vincenzo Salemme, di Nino D’Angelo, tutti applauditi nella spensierata trasversalità del “ma anche”.
    Gli abitanti dell’Esquilino, al mercato o al bar, ogni tanto ancora se la prendono con Serena Dandini come fosse lo sceriffo, il governo, il sindaco, e la chiamano in causa nella veste di ex suprema autorità del quartiere, anche per problemi di competenza altrui (“ao’, altro che Jovinelli, qui ci sono le bische cinesi, ditelo alla Dandini”; “il mercato è caro, la Dandini che dice?”).  Ma gli abitanti dell’Esquilino trasecolano e basta.

    Dopo l’ultima riapertura del 2010, infatti, sotto la guida di Officine culturali (direzione di Fabrizia Pompilio), il moloch Jovinelli pareva ormai avviato verso una placida vita da teatro non sempre “off” e non sempre “fighetto”, nonostante incombessero già i “problemi tecnici e strutturali” (riscaldamento troppo caro, “argani e parti tecniche da sanare”) che hanno portato, dicono i gestori, al nuovo stop annunciato, poi addolcito da Marco Balsamo, il direttore della compagnia Nuovo Teatro che promette: “Fino a luglio continueremo con lo stesso entusiasmo di sempre”.
    E pensare che c’era chi, anni fa, profetizzava la fine dell’Ambra Jovinelli per mano capitalista (“diventerà un supermercato”), la stessa cosa che dicevano del Teatro Valle, nel frattempo ancora perso nell’eterna “okkupazione” (e nel menefreghismo generale).

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.