Vizi e gusti del Collezionista, trader estremo col Munch in casa
La procura di New York contro il Collezionista, l’uomo che nella sua casa di Greenwich ha appeso alla parete un “Bandiera” di Jasper Johns (110 milioni di dollari), più la “Madonna” di Munch (11 milioni), un Pollock (52 milioni). E ancora opere di Bacon, Richter, Picasso, Jeff Koons e di Damien Hirst. Più o meno un miliardo di dollari spesi in opere d’arte. Anche per questo la giustizia americana non si accontenta della multa record, 616 milioni di dollari, pagata da Sac, l’hedge fund controllato dal Collezionista, cioè Steven Cohen, 57 anni, mago di Wall Street che in dieci anni ha moltiplicato una discreta fortuna (350 milioni di dollari) in un tesoro di 9 miliardi.
La procura di New York contro il Collezionista, l’uomo che nella sua casa di Greenwich ha appeso alla parete un “Bandiera” di Jasper Johns (110 milioni di dollari), più la “Madonna” di Munch (11 milioni), un Pollock (52 milioni). E ancora opere di Bacon, Richter, Picasso, Jeff Koons e di Damien Hirst. Più o meno un miliardo di dollari spesi in opere d’arte. Anche per questo la giustizia americana non si accontenta della multa record, 616 milioni di dollari, pagata da Sac, l’hedge fund controllato dal Collezionista, cioè Steven Cohen, 57 anni, mago di Wall Street che in dieci anni ha moltiplicato una discreta fortuna (350 milioni di dollari) in un tesoro di 9 miliardi. Sac, accusata di insider trading sui titoli della farmaceutica Wyeth, ha preferito accordarsi con un versamento monstre con la Consob americana, la Sec, pur di evitare il processo. La colpa se l’è accollata Matthew Martoma, uno dei gestori, che aveva venduto una montagna di titoli una volta saputo, corrompendo (secondo l’accusa) uno scienziato, che il farmaco Wyeth contro l’Alzheimer si era rivelato inefficace. Una penale record, ma la punizione non finirà qui: gli sceriffi della Borsa vogliono arrivare a Steven Cohen in persona, il centoseiesimo uomo più ricco del pianeta. Per mesi gli uomini della Sec e dell’Fbi hanno torchiato Martoma e altri broker di Sac per avere prove del coinvolgimento di Cohen, lui però ha taciuto. Perché il Collezionista è un osso duro. Un vero boss che abita, assieme alla moglie e a sette figli, in una villa nel Connecticut che, scrive il New York Times, ricorda da vicino la casa del “Grande Gatsby”. Ed è probabile che Zelda, la moglie di Fitzgerald, si sarebbe divertita molto alle feste di Alex, la moglie di Cohen, una che per il compleanno regala al marito un Bancomat invece di un semplice portafoglio.
Lui, però, sembra uscito dalla penna di Saul Bellow: già garzone di bottega in una drogheria di provincia, scopre al college che si guadagna di più come giocatore di poker. Varca la soglia di una piccola ditta di Wall Street negli anni Settanta, prima dell’avvento dei personal computer. E rivela subito l’istinto del trader che non fa prigionieri. Negli anni Novanta, quando fonda Sac, le grandi case, come Goldman Sachs o Morgan Stanley, scoprono che si guadagna di più con lui in commissioni che con i giganti dei fondi comuni. Questi ultimi muovevano molti più soldi, ma con la lentezza di un elefante; il Collezionista era più rapido di un ghepardo ma più infaticabile di un castoro. “Il Collezionista ci chiedeva una cosa sola – racconta lo scrittore Gary Sernovitz che all’epoca lavorava per una Big Firm di Wall Street – essere informato in anticipo dei risultati delle ricerche degli analisti”. Allora non era reato, oggi probabilmente sì. Di sicuro, l’esercito dei broker di Sac, in cambio di stipendi da favola (Martoma ha incassato 9,4 milioni nel solo 2009, quando aveva 34 anni), si sottopone a una disciplina ferrea: la domenica mattina tutti a casa Cohen a illustrare le idee della settimana, consapevoli che un solo errore può costare il posto. Un cerbero, capace però di staccare un assegno da 500 mila dollari per le vittime dell’uragano Sandy o di regalare 50 milioni a un ospedale per i poveri.
C’è da domandarsi se la sua passione per l’arte sia sincera. All’Art Basel di Miami, dove quest’anno non si è presentato, i galleristi giurano di sì. Ma il conflitto di interessi è evidente. Più sincero è Sernovitz: “Lui compra opere d’arte per trasformare i liquidi che sa guadagnare in qualcosa di solido. Forse quei dipinti vorrebbe mangiarseli per catturarne il potere come i cannibali con i nemici”. Ma un Warhol per antipasto è troppo caro pure per Cohen uno che, a Vanity Fair, una volta ha dichiarato: “Ho raggiunto la cima della montagna. Lassù non è niente di che”. Una frase che a Fitzgerald sarebbe piaciuta assai.
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