Nella testa di Rodríguez, giornalista spagnolo che s'è fatto tycoon

Federico Sarica

La storia di Andrés Rodríguez, giornalista da sempre, editore e imprenditore da qualche anno, è una di quelle che vale la pena raccontare per cercare di capire per bene, al di là dei lugubri luoghi comuni, cosa si cela davvero nei meandri meno battuti di questo perenne stato di crisi apparentemente senza fine che ha investito il mondo dei giornali. Una storia di successo, fatta di molta pratica e di pochissima teoria che, per una volta, non arriva dagli Stati Uniti, dalla Scandinavia o da qualche nuovo colosso economico in espansione, ma dalla vicina, recessiva, declinante Spagna, a noi tanto familiare.

    La storia di Andrés Rodríguez, giornalista da sempre, editore e imprenditore da qualche anno, è una di quelle che vale la pena raccontare per cercare di capire per bene, al di là dei lugubri luoghi comuni, cosa si cela davvero nei meandri meno battuti di questo perenne stato di crisi apparentemente senza fine che ha investito il mondo dei giornali. Una storia di successo, fatta di molta pratica e di pochissima teoria che, per una volta, non arriva dagli Stati Uniti, dalla Scandinavia o da qualche nuovo colosso economico in espansione, ma dalla vicina, recessiva, declinante Spagna, a noi tanto familiare.
    Rodríguez, quarantasette anni, una vita nel giornalismo, dopo aver fatto molta radio e aver contribuito alla nascita di un paio di quotidiani negli anni Ottanta, nel 2006 decide di lasciare un posto di lavoro ben pagato e di tutto rispetto presso il colosso editoriale Prisa – quello che pubblica El País – per legare i destini suoi e del suo percorso professionale a un’avventura in proprio e tutta da costruire, Spain Media: il sogno di una realtà attraverso la quale provare finalmente a mettere in pratica anni di passione e ragionamenti. Come? Dando vita a un gruppo editoriale specializzato in periodici con le seguenti caratteristiche: piccolo, attento al prodotto da confezionare e consapevole che la via per attrarre lettori e investimenti pubblicitari è una sola: la qualità.

    Rodríguez il vero colpo lo fa convincendo gli americani di Hearst a concedergli la licenza per pubblicare l’edizione spagnola dello storico mensile maschile del gruppo, Esquire. Ottenuto, non senza fatica, il sì dagli americani, Rodríguez riesce a farsi prestare 500.000 euro da una banca per partire (era sette anni fa, “se oggi un editore va a chiedere un prestito, gli ridono in faccia”, ha dichiarato recentemente lo stesso Rodríguez). Una cifra piccola per le consuetudini dell’editoria, ma sufficiente per tentare di impostare un’avventura che, come condizione primaria, si poneva quella di ridurre per forza di cose drasticamente le dimensioni degli enormi corpi editoriali dei giornali tradizionali, costo non più sostenibile per i nuovi numeri del settore.
    L’esperimento Esquire parte bene e si consolida ancora meglio, e la fiducia di Hearst nei confronti di Rodríguez sale talmente tanto che il gruppo americano decide di affidare a Spain Media anche il lancio spagnolo del suo femminile di punta, Harper’s Bazaar. Altro successo. Seguono un’altra acquisizione – Robb Report, specializzato in prodotti di lusso – e una creatura nata in casa, il trimestrale di viaggio e reportage Orizon. Fino al colpo più recente che fa balzare Rodríguez nuovamente agli onori delle cronache, con tanto di piccolo ritratto sul New York Times: il lancio, il 6 marzo scorso, dell’edizione spagnola di Forbes. Particolare: questa volta è Forbes a cercare Spain Media e Rodríguez a essere inizialmente riluttante: “Mi sembrava davvero il momento peggiore per lanciare un magazine economico – ha raccontato al Nyt – ma Forbes ha insistito molto e sono quindi giunto alla conclusione che dei lettori c’erano, perché mai come oggi nella storia spagnola la gente è stata attenta all’economia e al suo impatto”.

    La domanda che tutti si fanno, e che tutti fanno a Rodríguez, è che cosa lo spinga a continuare a investire in un settore dato da quasi tutti per finito. “Innanzitutto credo sia sbagliato dire genericamente ‘le riviste sono in crisi’. Le riviste non sono tutte uguali. E’ come dire che i negozi sono in crisi: alcuni lo sono, altri no. Dipende da che tipo di negozio sei, a chi ti rivolgi”, ha raccontato Rodríguez in un’approfondita intervista a ondacro.com, radio spagnola online. Spain Media ha scelto di rivolgersi alla fascia di lettori più alta e più esigente: “Siamo l’alta gamma dell’editoria, vogliamo ovviamente raggiungere più lettori possibili, ma non abbiamo orientato il nostro modello verso il mass market. In questo senso qui, rubo un paragone alla moda: la carta sarà l’haute couture, il Web il prêt-à-porter”. Già, perché il core business di Spain Media, pur con grande attenzione al Web e ai social media su cui le testate del gruppo sono molto presenti, restano i giornali di carta. E il perché l’ha ben spiegato il titolare, sempre a ondacro.com: “Investire nella carta e nella qualità dell’oggetto vuol dire investire nel valore del brand, che è il vero obiettivo per ogni testata che voglia avere un futuro. Ovviamente il processo di digitalizzazione è fondamentale, ma per i periodici (altra cosa sono i quotidiani) è più lento di quanto si vada dicendo. Quindi, quello che all’istante può sembrare in qualche modo antieconomico, l’investimento sulla carta, non lo è: non è un caso che in una fase di calo generale del venti per cento della pubblicità, le nostre testate siano in crescita: rubiamo fette alla concorrenza, e il mercato ci premia perché sa che lavoriamo per proteggere il valore di quello che facciamo. Non si può investire o meno su quello che si produce a seconda delle flessioni del mercato pubblicitario, bisogna spendere per la qualità a prescindere, solo così lettori e inserzionisti ti premiano. E’ il rischio d’impresa”.

    E che impresa. Un po’ di numeri: Spain Media è in attivo dalla fine del secondo anno di vita e oggi, riporta il New York Times, fattura 10 milioni di euro all’anno. Alle testate di Spain Media lavorano una quarantina di persone: sedici giornalisti (Rodríguez compreso, il quale è contemporaneamente, oltre che editore di tutto il gruppo, anche direttore di Esquire e di Forbes), sette grafici e diciassette persone fra marketing, pubblicità e amministrazione. Per fare cinque giornali di carta e altrettanti siti. Niente male. “Eravamo, siamo e saremo una piccola impresa – ragiona Rodríguez – come costi e come dimensioni. Per questo stiamo in piedi”. Ultimo particolare: l’età media di chi lavora a Spain Media è 28 anni, e anche in questo Rodríguez è piuttosto controcorrente: “Non mi interessano età ed esperienza, voglio talento”, ha detto sempre al Nyt. Quando si dice il coraggio.