L'atomica del Quirinale
“Fate un governo subito o mi dimetto”. Adesso è Napolitano a minacciare
Enrico Letta, che lo conosce e forse gli vuole persino bene, lo guarda negli occhi: “Da oggi siamo tutti corazzieri”. E lui, l'anziano presidente, stanco: “Non voglio affetto, ma responsabilità”. E' con il nodo in gola che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ieri ha gettato le sue dimissioni sul tavolo delle consultazioni con le forze politiche, contro Silvio Berlusconi e contro Letta, contro il Pdl e contro la caparbietà del Partito democratico di Pier Luigi Bersani (assente da Roma) che continuano a rimpallarsi la responsabilità dello stallo istituzionale che non sembra ancora consentire la formazione di una maggioranza e di un governo.
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Enrico Letta, che lo conosce e forse gli vuole persino bene, lo guarda negli occhi: “Da oggi siamo tutti corazzieri”. E lui, l’anziano presidente, stanco: “Non voglio affetto, ma responsabilità”. E’ con il nodo in gola che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ieri ha gettato le sue dimissioni sul tavolo delle consultazioni con le forze politiche, contro Silvio Berlusconi e contro Letta, contro il Pdl e contro la caparbietà del Partito democratico di Pier Luigi Bersani (assente da Roma) che continuano a rimpallarsi la responsabilità dello stallo istituzionale che non sembra ancora consentire la formazione di una maggioranza e di un governo. “Non avallo soluzioni transitorie, a fine mandato non avallo un governicchio”, è la posizione sulla quale è attestato il Quirinale in un quadro di impasse tattica: è imperativo far collaborare le forze politiche alla formazione di un governo di larghe intese capace anche di durare. “Abbiamo ascoltato troppi ‘no’ stamattina e in questi giorni”, ha detto Enrico Letta accusando Berlusconi. E Angelino Alfano, il segretario del Pdl: “Il capo dello stato non ha preso in considerazione né ha esaminato ipotesi su governi del presidente o istituzionali o tecnici”. Come dire: la linea del Quirinale è quella della coesione nazionale. “Ma è il Pd che non ci sta”, dice il capogruppo del Pdl alla Camera, Renato Brunetta, spettatore interessato.
Al tramonto di un’interminabile giornata trascorsa al Quirinale, un lungo intervallo sulla crisi istituzionale in cui ciascuno dei partiti ha ribadito posizioni già note, Napolitano è ritornato alla drammatica posizione di partenza. Il presidente cercava e cerca ancora l’intesa tra Pd e Pdl, un governo semi-politico, ma guidato – se necessario – da una figura terza. Un governo che faccia la riforma della legge elettorale, e anche appronti un nuovo sistema istituzionale. “Se insiste sul governissimo sa che potrebbe spaccare il Pd”, rifletteva Berlusconi ieri sera, con i suoi: “Quello di Napolitano è un tormento”. Ma il conflitto più intenso del capo dello stato è con il Partito democratico, malgrado la posizione da quelle parti si stia un po’ ammorbidendo. “Mi costringete alle dimissioni”, le sue parole.
Il presidente aveva già un’idea e un programma d’azione pronti prima di cominciare questi nuovi colloqui – poco più di una concessione garbata all’assente Bersani – e infatti a quell’idea originaria, ieri notte, è tornato. Parlerà probabilmente stamattina, ma potrebbe anche volerci più tempo. “Nessun governicchio, non concludo così il mandato”, ha detto Napolitano alla delegazione del Partito democratico poco prima di aggiungere: “Così voi mi costringete a fare un passo indietro. E nel momento più delicato per il paese”. Nel Pd sembra essersi aperto qualche spiraglio, ci sono novità seppur ancora caute, incerte, come incerto è tutto il meccanismo tortuoso di queste estenuanti consultazioni. Fino a ieri la linea prevalente del partito era “o governo con Bersani o elezioni”, adesso, con un Bersani in caduta libera, la linea ufficiale è “non mancherà il nostro appoggio alle decisioni del presidente”, come ha detto ieri Enrico Letta di fronte alle telecamere una volta uscito dallo studio del presidente della Repubblica.
E’ una strana e contorta formula quella che il Pd sta cercando di trovare per evitare una tesissima conta interna e, soprattutto, per sfuggire all’accusa di aver provocato instabilità nei giorni in cui lo spread torna a salire, di aver provocato – pensate – le dimissioni di Giorgio Napolitano, l’uomo che tutti vorrebbero tenere lì dov’è persino per altri sette anni. Così si ascoltano strane formule, nuovi imbrogli linguistici che nascondono il pasticcio politico: “Un governo politico, ma a bassa intensità”, sussurrano a Largo del Nazareno, la sede del Partito democratico. Ed è quasi una lingua democristiana. Viene anche fatto notare che Letta ieri non ha utilizzato l’espressione “valuteremo”, come Bersani, ma ha detto invece: “Non mancherà il nostro appoggio alle decisioni del presidente”. E sono frasi chiaroscure che rimandano al passato della Prima Repubblica perché di accordo esplicito e politico con Berlusconi, cioè con il Caimano, nel Pd non riescono a parlare. “E’ la terribile sindrome dell’inciucio. E’ il loro moralismo che li frega”, dice Fabrizio Cicchitto, che da socialista e da berlusconiano non ama “i nipotini di Berlinguer”.
Sugli uomini del centrosinistra ieri hanno pesato molto le parole e il tono assunto da Napolitano, la possibilità martellante che il presidente si dimetta. Nei suoi lunghi conciliaboli notturni, anche Berlusconi non ha escluso questa ipotesi: “Napolitano potrebbe decidere che le sue dimissioni sono l’unica soluzione, l’unico choc al sistema bloccato”. Il presidente attende l’effetto della minaccia, ritiene che sia “l’unica assunzione di responsabilità possibile di fronte a uno stallo assoluto e irresponsabile”.
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