Nella Pasqua di magro di Bergoglio anche “i riti durano meno”

Matteo Matzuzzi

“La bellezza di quanto è liturgico non è semplice ornamento e gusto per i drappi, bensì presenza della gloria del nostro Dio che risplende nel suo popolo vivo e confortato”, diceva Papa Francesco nell’omelia della messa crismale, giovedì scorso. Una risposta indiretta a chi vedeva nel nuovo e meno appariscente apparato simbolico inaugurato dal Pontefice argentino già la sera dell’elezione una rottura con lo stile di Benedetto XVI.

    “La bellezza di quanto è liturgico non è semplice ornamento e gusto per i drappi, bensì presenza della gloria del nostro Dio che risplende nel suo popolo vivo e confortato”, diceva Papa Francesco nell’omelia della messa crismale, giovedì scorso. Una risposta indiretta a chi vedeva nel nuovo e meno appariscente apparato simbolico inaugurato dal Pontefice argentino già la sera dell’elezione una rottura con lo stile di Benedetto XVI.

    Le celebrazioni del Triduo pasquale hanno confermato che più che il tronetto di Leone XIII restaurato, a Francesco interessa il “legno della croce, il trono regale di Cristo entrante a Gerusalemme”, come ha ricordato nella predica della domenica delle Palme. Niente squilli di tromba ad annunciare l’ingresso del Papa in basilica, niente pianete preziose tirate fuori dagli armadi delle sacrestie petrine dove erano rimaste per decenni. Niente fanone, da poco riportato in auge. Solo una casula bianca, semplice. La stessa usata per la messa di inizio pontificato, riproposta anche per la Veglia del Sabato santo, “la madre di tutte le veglie”, e per la celebrazione della domenica di Pasqua. Sul capo, la solita mitra personale, quella tanto cara allo Jorge Bergoglio arcivescovo di Buenos Aires. Al dito l’anello piscatorio alternato continuamente al vecchio anello episcopale.

    Anche i riti, pur solenni, sono stati semplificati. “Durano di meno”, ha detto più di una volta il portavoce della Sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi. Così, la messa della domenica delle Palme ha visto il Passio non più cantato, ma semplicemente letto. Tagliate, durante la Veglia del sabato, le letture bibliche che precedevano il Gloria e il suono delle campane a festa, annuncio della Resurrezione. Erano quattro nel 2012, sono state tre quest’anno. Cantato l’Exultet, la prima lettura dal Libro della Genesi è stata di molto ridotta: anziché ripercorrere tutti i sei giorni della creazione, sabato scorso ci si è limitati alla narrazione della creazione dell’uomo. Brevi anche le omelie (brevissima quella della messa in Coena Domini, nel penitenziario minorile di Casal del Marmo, a Roma). D’altronde, anche un grande conservatore e seguace della tradizione come l’allora arcivescovo di Genova, il cardinale Giuseppe Siri, diceva che “i predicatori si suddividono in due categorie: quelli che parlano poco e dicono tanto, e quelli che parlano tanto e non dicono niente”.

    Ma il cambiamento più evidente è stato quello della Benedizione Urbi et Orbi, a mezzogiorno del giorno di Pasqua. Niente sede papale, neanche la poltrona beige così ricorrente negli anni di Giovanni Paolo II. Solo un leggio di legno dal quale il Papa ha letto il messaggio alla città di Roma e al mondo intero. Una panoramica dei conflitti in corso, dalla Nigeria alla Repubblica Centrafricana, dalle tensioni nella penisola coreana a quelle in medio oriente, per chiedere la pace. “Pace a tutto il mondo, ancora così diviso dall’avidità di chi cerca facili guadagni, ferito dall’egoismo che minaccia la vita umana e la famiglia”, ha aggiunto Jorge Mario Bergoglio.

    Francesco non indossava neppure domenica la mozzetta, e la stola (rossa anziché bianca) l’ha messa sulle spalle solo al momento della benedizione solenne – venerdì sera, sul Palatino per la Via Crucis, rifiutava in un primo momento anche il cappotto bianco, venendo poi convinto dai cerimonieri. Ancora una volta, Bergoglio ha parlato in italiano. Cancellati anche i tradizionali saluti nelle diverse espressioni linguistiche che chiudevano il messaggio augurale dalla Loggia. Ieri, durante il Regina Coeli (concluso ancora una volta dal “Buon pranzo” rivolto alle migliaia di presenti in piazza) dalla finestra dello studio privato, il Papa ha chiesto di “aprire il cuore a Cristo, di fargli spazio” per consentire “il rinnovamento nell’esistenza personale”, nelle famiglie, nelle relazioni sociali. “Senza la grazia – ha aggiunto Francesco – non possiamo nulla”.

    • Matteo Matzuzzi
    • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.