Cappotto al Caimano

Allarme rosso ad Arcore, “il Pd a 5 stelle si prende il Quirinale e ci stronca”

Salvatore Merlo

“Quelle di Bersani sono false aperture”, dice Ignazio La Russa, “qui c’è un disegno che punta a circondare Berlusconi, a farlo fuori per via giudiziaria con la complicità di un nuovo apparato istituzionale compiacente”. Insomma per il centrodestra l’asse Bersani-Grillo è un fatto politico quasi inevitabile: “Loro si eleggono il presidente della Repubblica a scrutinio segreto, alla quarta votazione. Grillo mica lo vede cosa fanno i suoi ragazzi. E che ci vuole a eleggere Prodi o peggio Rodotà, o peggio ancora Zagrebelsky?”, dice Daniela Santanchè. E la pasionaria è pronta alla guerra, “alla resistenza in montagna se necessario”. La paura è molto forte anche ad Arcore dove ieri il Cavaliere ha riunito i suoi capigruppo e i coordinatori assieme al segretario Angelino Alfano.

    “Quelle di Bersani sono false aperture”, dice Ignazio La Russa, “qui c’è un disegno che punta a circondare Berlusconi, a farlo fuori per via giudiziaria con la complicità di un nuovo apparato istituzionale compiacente”. Insomma per il centrodestra l’asse Bersani-Grillo è un fatto politico quasi inevitabile: “Loro si eleggono il presidente della Repubblica a scrutinio segreto, alla quarta votazione. Grillo mica lo vede cosa fanno i suoi ragazzi. E che ci vuole a eleggere Prodi o peggio Rodotà, o peggio ancora Zagrebelsky?”, dice Daniela Santanchè. E la pasionaria è pronta alla guerra, “alla resistenza in montagna se necessario”. La paura è molto forte anche ad Arcore dove ieri il Cavaliere ha riunito i suoi capigruppo e i coordinatori assieme al segretario Angelino Alfano. Un gabinetto di guerra, toni perentori, definitivi come spesso succede in questo tipo di riunioni quando il grande capo è in difficoltà. Da Arcore è stato inviato una specie di ultimatum agli ambasciatori del Pd e anche al Quirinale (che tuttavia non sembrava affatto preoccupato).

    Il testo del messaggio raccolto da Brunetta, Schifani, Verdini e Alfano suona più o meno così: “O si trova un accordo in settantadue ore o ci ritiriamo dal comitato dei saggi”. Ed evidentemente non è proprio una grande minaccia, l’idea è all’incirca quella di riprendersi Gaetano Quagliariello, l’unico parlamentare del Pdl inserito nei gruppi di lavoro voluti da Napolitano. Un arma scarica che ieri sera non ha scalfito minimamente la sicumera di Bersani: “Il governissimo io non lo farò mai”. Così il Cavaliere vede agitarsi lo spettro del berlusconicidio, osserva l’intreccio lugubre tra le condanne, i processi (tra il 20 e il 22 riprendono Ruby e Mediaset che si avviano a sentenza) e vede pure rinsaldarsi una maggioranza parlamentare incline alla sua eliminazione, al suo grillage giudiziario. Abbastanza da alimentare tutte le paure, anche quelle più violente, perché il Cavaliere forse per la prima volta ora si scopre disarmato. Berlusconi, e anche questo è un elemento della sua tragedia, non sembra disporre di strumenti di pressione o di minaccia efficaci.

    Forse non gli era mai successo di sentirsi così a rischio, così vulnerabile e pure così disarmato: Berlusconi è alla ricerca di un punto debole sul quale poter fare leva per scardinare le certezze granitiche dei suoi avversari, ma non lo trova, non ha armi contro nessuno degli attori sulla scena: non può certo minacciare le elezioni, visto che non c’è nemmeno un governo, né può sfiduciare un esecutivo che si regge solo per il disbrigo degli affari correnti. Così il Cavaliere sa di poter soltanto – ma non è poco – agitare la piazza e fare il muso duro, durissimo, indossare se necessario la maschera del Caimano. La prima occasione è il 13 aprile a Bari: ed è evidente che, messo nell’angolo, Berlusconi non potrà che ricorrere a toni sempre più violenti, inediti persino per uno che è già arrivato ad associare il concetto di criminilità a quello di ordinamento giudiziario.
    Come un pendolo, ieri pomeriggio con i suoi uomini il Cavaliere ha alternato l’idea di una violenta rottura con Napolitano – voleva parlare o scrivere lui stesso – a rapide e più miti inversioni di marcia favorite dai consigli del gran visir Gianni Letta. Berlusconi avrebbe voluto terremotare subito l’iniziativa del capo dello stato, dichiarare inutile il tavolo dei dieci saggi, denunciare brutalmente il complotto berlusconicida e la strategia “folle e irresponsabile” di Bersani che – come dice Daniela Santanchè – “mette prima di tutto gli interessi biecamente elettorali del Pd”. Ma con quali divisioni attaccare? Non ci sono più cartucce.

    Il Cavaliere disarmato sembra tuttavia pronto a ogni resistenza, disperata e selvaggia. Ieri ad Arcore si è fatto parecchio minaccioso nei toni e pure nelle escogitazioni, malgrado sia in realtà sempre pronto a rinfoderare tutto e a recuperare, da uomo adulto e disinvolto qual è, i toni pacati dello statista: ma dev’esserci un accordo prima, la garanzia che al Quirinale non ci vada un nemico capace di assecondare la sua fine politica per via giudiziaria. “Io un’idea ce l’ho”, azzarda Ignazio La Russa, “e ne ho parlato anche con il capo dello stato. Napolitano dovrebbe essere rieletto lui, per altri otto mesi, e dovrebbe fare un governo del presidente capace di poche ma importanti cose: una riforma elettorale alla francese, con il doppio turno, e l’elezione diretta del presidente della Repubblica”. Pare difficile, il Pd fa manovra in tutt’altra direzione. E malgrado Alfano si stia sbracciando per chiedere il ritorno alle consultazioni, si è imposto ormai un nuovo e inesorabile meccanismo che non dispiace a Bersani: per il capo dello stato si può anche avanzare al buio. E nel buio, a scutinio segreto, si può eleggere un nuovo presidente mezzo grillino, preludio di una nuova maggioranza di governo. Al Pdl cosa resta? “La resistenza in montagna”.
     

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.