Insiemistica del conclavino per il Quirinale (ma le foto fanno un po' Verano)

Stefano Di Michele

Siccome la primavera è arrivata meteorologicamente travestita da 2 novembre, con tutto il rispetto e ogni debito scongiuro, la paginata di ieri dell’Unità (dove venivano impilate, come scatole di legumi al supermercato, diciassette immaginette diciassette dei possibili e futuri e imminenti candidati al Colle, sistemate a gruppi come gli asparagi nel reparto ortofrutta) aveva qualcosa di lapidario e funereo, grazie anche allo sfondo tendente al grigio: un principio di Verano, si evocava, anziché di palazzo dei Papi. Così, fatto un Conclave se ne avvia subito un altro. O almeno ci si prova: stessi schemini, stessa grafica, stesse meste foto formato tessera. E magari – quasi sempre è andata così – senza imbroccarci mai.

Editoriale Il Quirinale e i furbetti

    Siccome la primavera è arrivata meteorologicamente travestita da 2 novembre, con tutto il rispetto e ogni debito scongiuro, la paginata di ieri dell’Unità (dove venivano impilate, come scatole di legumi al supermercato, diciassette immaginette diciassette dei possibili e futuri e imminenti candidati al Colle, sistemate a gruppi come gli asparagi nel reparto ortofrutta) aveva qualcosa di lapidario e funereo, grazie anche allo sfondo tendente al grigio: un principio di Verano, si evocava, anziché di palazzo dei Papi. Così, fatto un Conclave se ne avvia subito un altro. O almeno ci si prova: stessi schemini, stessa grafica, stesse meste foto formato tessera. E magari – quasi sempre è andata così – senza imbroccarci mai: né nella Sistina, dove opera di testa sua lo Spirito Santo, né a Montecitorio, dove più temerariamente operano di testa loro gli eletti. Come i prelati passati sotto la lente di ingrandimento nei giorni precedenti il Conclave (così attentamente che un Jorge Bergoglio sfuggiva a tutti, neanche con un tango di Gardel in sottofondo sarebbe scattato l’allarme) erano attruppati, di volta in volta, in ratzingeriani e curiali, nordamericani e asiatici, manageriali e spirituali, conservatori e riformisti, e ogni tanto una figurina da un settore sconfinava nell’altro, una tonaca sfuggiva dal precedente alloggiamento – pecorella indisciplinata o semplicemente svagata che il giorno successivo veniva dubbiosamente ricondotta al suo proprio ovile.

    Così adesso è per i supposti candidati quirinalizi: cosa, ad esempio, può mai differenziare il settore “professori” dal settore “costituzionalisti”? Le facce già dicono molto – e molti, che a tanto onere e a tanto onore tengono, a vedersi sistemati nella bacheca mediatica dovrebbero piuttosto fare gli scongiuri: perché pure per il Colle spesso chi entra presidente esce candidato (trombato) – come ebbero modo di sperimentare personaggi del calibro di Andreotti, Fanfani, Forlani. E poi nel segreto dell’urna lo Spirito Santo ti vede di certo, il capogruppo non sempre. Le facce, si diceva. Prendiamo i “cattolici”: fisiognomicamente vengono sempre presentati serissimi, come se si trovassero in perenne meditazione sul Mistero, anziché in accorta vigilanza su una poltrona. Così Franco Marini e Sergio Mattarella – degnissimi candidati – hanno l’espressione pensosa che si confà a quelli che, pur nel e del mondo, hanno pratica certa tanto di confessionale quanto di sacrestia. Illuminante appare il settore “ex premier”, dove Amato ha l’aria sempre pensosa, treccaniana verrebbe da dire, di chi ha veramente pensiero e non solo posa da manifesto elettorale (quale esempio, certi candidati di provincia, un libro avventatamente aperto davanti e la testa, dai pensieri si suppone gravata, poggiata nel palmo): è solo il mento sottile che poggia tra il pollice e l’indice, quasi solo lo sfiora, tale e quale a immagine di chi già sa: due minuti e ti cavo una soluzione per tutto. Di Romano Prodi – sorridente, di sorriso che però non muove le labbra verso l’alto, piuttosto le tiene in un orizzontale perfetto come certi tratti della via Emilia; labbra sottili, peraltro, di taglio andreottiano, da cui ci si aspetta al più un bisbiglio, una parola dal suono esangue – ma dalla esatta consistenza di bisbiglio che pesa e conta.

    Curiosamente, nella grande pagina dell’Unità i due che più apertamente ridono risultano quelli della coppia professorale: Stefano Rodotà e Marcello Pera, del resto così diversi tra loro che c’è da dubitare che, fosse solo per caso, possano mai insieme ridere per la stessa cosa. Lassù in alto, quasi piantati a bandiera, a vessillo a lato dell’obelisco della piazza, i “costituzionalisti”, tutti uomini che hanno guidato il vertice della Corte Costituzionale, situata appena al di là della strada rispetto al Quirinale: gente quasi di casa. Piero Alberto Capotosti e Valerio Onida e Gustavo Zagrebelsky appaiono – di tanta dottrina e scienza e saggezza forniti – i perfetti ospiti di un programma di Gad Lerner: del mondo a parlare e il mondo a spiegare. Restano altri due settori, in attesa di altri che nei prossimi giorni prenderanno forma (chissà se mai volo): dei “leader politici”, e quello tristissimo – così insensato, così ovvio, così “dovuto”, da apparire quasi sempre come sottosettore: potevano benissimo essere leader o cattoliche o laiche o molte altre cose – delle “donne”: nondimeno quello più affollato, ben cinque che vanno da Emma Bonino, che mai da tre lustri manca, ad Anna Finocchiaro, ora un po’ in affanno, ad Anna Maria Cancellieri, al momento la candidata più trendy e di gran lunga più vispa. E poi i “leader”, settore piuttosto sguarnito, ridotto un po’ all’osso, come politicamente i diretti interessati: soltanto Pier Luigi Bersani e Mario Monti. Il segretario del Pd, stretto tra l’incarico e il semi incarico, pare mostrare lo stesso taglio di labbra di Prodi, che forse nel Professore è tendenza al bisbiglio e forse nel Segretario solo umanissimo stringere i denti e mordersi la lingua. Il presidente del Consiglio, che avrebbe voluto essere presidente del Senato, e si mormora non disdegnerebbe essere presidente della Repubblica, ha un sorriso che appare di speranza. O solo di circostanza – per (in)civica e cinica sorte.

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