Lo scabroso problema con al Azhar ereditato da Francesco
Anche quest’anno il dialogo con al Azhar si è interrotto per scelta dei nostri partner musulmani”. Papa Francesco è costretto oggi a definire i suoi rapporti col mondo musulmano a partire da questa constatazione espressa il 4 gennaio scorso dal cardinale Jean-Louis Tauran: una drammatica rottura che si è consumata tra il Vaticano e il più prestigioso centro dell’islam sunnita. Specularmente, la dirigenza di al Azhar, nel momento stesso in cui invia un caloroso messaggio al nuovo Pontefice dopo il Conclave, sottolinea gli elementi che rendono gravissima la crisi: “Il nostro problema non è col Vaticano, ma col Papa tedesco, che ha parlato della protezione delle minoranze in Egitto e ha descritto l’islam come religione di sangue”.
"Anche quest’anno il dialogo con al Azhar si è interrotto per scelta dei nostri partner musulmani”. Papa Francesco è costretto oggi a definire i suoi rapporti col mondo musulmano a partire da questa constatazione espressa il 4 gennaio scorso dal cardinale Jean-Louis Tauran: una drammatica rottura che si è consumata tra il Vaticano e il più prestigioso centro dell’islam sunnita. Specularmente, la dirigenza di al Azhar, nel momento stesso in cui invia un caloroso messaggio al nuovo Pontefice dopo il Conclave, sottolinea gli elementi che rendono gravissima la crisi: “Il nostro problema non è col Vaticano, ma col Papa tedesco, che ha parlato della protezione delle minoranze in Egitto e ha descritto l’islam come religione di sangue”. Parole pesanti, espresse da Mahmuod Abdel Gawad, consigliere diplomatico di Ahmed al Tayyeb, gran imam di al Azhar, basate su un totale travisamento della lectio magistralis di Ratisbona del 2006, ma soprattutto sulle pur miti parole pronunciate da Benedetto XVI all’indomani della strage di 22 cristiani nella chiesa di Alessandria del 31 dicembre 2010: “Anche in Egitto, il terrorismo ha colpito brutalmente dei fedeli in preghiera in una chiesa. Questa successione di attacchi è un segno ulteriore dell’urgente necessità per i governi della regione di adottare, malgrado le difficoltà e le minacce, misure efficaci per la protezione delle minoranze religiose”. Richiesta ovvia, pronunciata in termini pacati, a cui al Tantawi, allora gran Imam di al Azhar, rispose in modo vibrante: “Rifiutiamo ingerenze esterne negli affari interni dei paesi arabi musulmani sotto qualsiasi pretesto; la protezione dei cristiani è un affare interno garantito dallo stato, perché sono cittadini che hanno diritti come tutti gli altri concittadini”. Subito, Hosni Mubarak ritirò il suo ambasciatore in Vaticano e la crisi arrivò al punto tale che nel novembre 2011 – secondo l’autorevole al Ahram – al Tayyeb rifiutò di accettare gli auguri di Benedetto XVI, in occasione della festa di Eid al Adha, presentatigli dal nunzio in Egitto Michael L. Fitzgerald (ma padre Lombardi, da Roma, sia pure trasversalmente, smentì l’affronto subìto). Sta di fatto, che la rottura di al Azhar con Benedetto XVI sul tema della protezione dei cristiani, intesa come intollerabile provocazione e ingerenza, è stata fatta propria anche dalla Organizzazione della cooperazione islamica, che raduna i 57 paesi musulmani del pianeta.
Recuperata, a fatica, con la sua visita alla moschea Blu di Istanbul, la marea di polemiche seguite a Ratisbona, Ratzinger ha poi deciso di subire in silenzio questa seconda, più grave crisi, senza reagire, ma anche senza tentare passi di pacificazione con il mondo musulmano. E sta di fatto che Papa Francesco ha oggi di fronte un interlocutore musulmano che pretende da lui una netta, evidente presa di distanza dal suo predecessore sul tema della protezione dei cristiani nel Dar al islam. Questo, in un contesto in cui centinaia ogni anno sono i cristiani uccisi nei paesi islamici (a Pasqua, 19 di loro sono stati massacrati in una chiesa in Nigeria).
Il cardinale Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, diplomatico raffinato, ha ben presente questo quadro, tanto che nella sua intervista del 4 gennaio all’Osservatore Romano ha detto: “Le persecuzioni ai cristiani non scoraggino il dialogo”. E’ dunque evidente che, interreligioso o interculturale che sia, il dialogo tra Papa Francesco e il mondo musulmano sarà pesantemente condizionato dalla inequivocabile richiesta di una sconfessione di Benedetto XVI e di un assoluto silenzio sulla persecuzione dei cristiani, avanzata peraltro con chiarezza da al Tayyeb: “Vedremo se questo Papa dirà qualche buona parola non su al Azhar, ma sull’islam”. Un cammino di estrema, scabrosa difficoltà.
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