Se il papa regni o no
Tutte le volte che Roberto de Mattei scrive sul Foglio, gli storici e i teologi italiani un po’ si irritano e un po’ si agitano. Perché l’ex vicepresidente del Cnr è abile a pungere sul vivo la koinè religiosa post conciliare in nome della tradizione, alla quale ormai resterebbero fedeli soltanto lui e la piccola ma agguerrita pattuglia di cattolici di cui è il portavoce di fatto.
Tutte le volte che Roberto de Mattei scrive sul Foglio, gli storici e i teologi italiani un po’ si irritano e un po’ si agitano. Perché l’ex vicepresidente del Cnr è abile a pungere sul vivo la koinè religiosa post conciliare in nome della tradizione, alla quale ormai resterebbero fedeli soltanto lui e la piccola ma agguerrita pattuglia di cattolici di cui è il portavoce di fatto.
Il teologo Andrea Grillo, docente al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo (l’università romana dei benedettini), riconosce che De Mattei centra il discorso quando dice che occorre “riflettere sul papato come istituzione, più che sul Papa come personaggio”, ma poi De Mattei aggiunge subito che “tra l’11 febbraio e il 13 marzo del 2013, sembra essere stata profondamente ferita la stessa costituzione del papato”. E questo, ci dice Grillo, è “un pregiudizio ideologico, una lettura del tutto unilaterale che si fa ancora più evidente quando De Mattei prova ad argomentare: da un lato le dimissioni di Papa Benedetto sarebbero state ‘un evento canonicamente legittimo, ma dall’impatto storico devastante’, dall’altro la decisione di Ratzinger di autodefinirsi ‘Papa emerito’ sarebbe percepita come una sorta di vulnus alla immediata comprensione della unicità della guida della chiesa cattolica”. E guai se il Papa emerito dovesse pubblicare qualcosa, avverte De Mattei: “Si dissolverebbe la percezione di ciò che è atto magisteriale e ciò che non lo è, frantumando quel concetto di infallibilità, di cui tanto a sproposito spesso si parla”.
Nel suo articolo De Mattei prende di mira anche Severino Dianich, il decano degli ecclesiologi italiani, per la sua tesi del “passaggio da una visione giuridica della chiesa, basata sul criterio di giurisdizione, a una concezione sacramentale, basata sull’idea di comunione… Il Papa non governa ‘dall’alto’ la chiesa, ma la guida nell’ordine della comunione… Queste tesi sono storicamente false – sostiene De Mattei – La storia del papato non è infatti la storia di forme storiche diverse e tra loro confliggenti, ma l’evoluzione omogenea di un principio di suprema giurisdizione”.
“Mi sorprende che sia uno storico ad accusare uno dei migliori teologi italiani – replica Grillo – riproponendo una teoria del papato che non ha più alcun fondamento né sul piano storico né in dottrina. Qui lo storico, arrogandosi il ruolo di teologo, finisce in un mare di contraddizioni. Anzitutto perché pretende di derivare direttamente dalle parole di Gesù di Nazareth l’istituzione del principio di suprema giurisdizione, traendolo da Matteo 16,14-18. Bisognerebbe ricordare a De Mattei ciò che diceva Chesterton, ossia che i cattolici, quando entrano in chiesa si levano il cappello, non la testa. Da almeno settant’anni una lettura così apertamente ingenua del testo evangelico non ha alcuna autorevolezza né scientifica né spirituale”, conclude Grillo.
De Mattei ha riassunto così la sua tesi: “Il papato è una monarchia assoluta in cui il Sommo Pontefice regna e governa e non può essere trasformato in una monarchia costituzionale, in cui il sovrano regna ma non governa. Un cambiamento di tale governo non toccherebbe la forma storica, ma l’essenza divina del papato”. Una tesi “totalmente ideologica e che legge la tradizione in modo tradizionalistico – ribatte Grillo – De Mattei legge la storia con strumenti teologici rudimentali, perseverando in una contrapposizione tra sacramento e giurisdizione che gli garantisce un fraintendimento di tutta la tradizione, letta secondo una contrapposizione del tutto antistorica tra modernità dissolutrice e chiesa monarchica antimoderna” (senza contare che l’esercizio della giurisdizione si è sempre evoluto con la società, come ha dimostrato in pagine fondamentali Paolo Prodi, un altro storico tirato in ballo da De Mattei).
Ma in questo modo di ragionare è presupposta un’altra contrapposizione: il Papa dei mass media da un parte e il Papa della teologia e del diritto canonico dall’altra. “E’ la stessa cosa che hanno cercato di fare con il concilio – osserva Grillo – Il rischio altissimo di queste letture consiste nell’usare la teologia come alibi, per garantirsi di non essere qui, in questa storia, in questi mutamenti, in queste benedette aperture. Ma non si può usare la teologia e il diritto canonico come armi per difendersi dalla realtà, è solo una forma di relativismo capovolto. Noi restiamo cattolici perché non accettiamo che l’infallibilità sia semplicemente liquidata, ma nemmeno che sia inopportunamente enfatizzata. Dobbiamo superare questa apologetica di sapore ottocentesco per difendere la tradizione in tutta la sua ricchezza, in tutta la sua complessità e in tutta la sua inesauribile capacità di sorprenderci. Vogliamo fare gli storici e i teologi accettando la storia nella sua irriducibile effettività. Se De Mattei continua a difendere il papato identificandolo con questo concetto di infallibilità, e in questo modo teologicamente rozzo, finirà per convincere i lettori che un tale fenomeno, così sfigurato, non abbia più alcun margine di plausibilità storica”.
Grillo, che di mestiere studia ciò che è più vivo del mistero cristiano, la liturgia, sostiene che “quello che cambia oggi con Papa Francesco non è il personaggio ma l’istituzione”. Proprio questo spaventa De Mattei e i suoi amici che, dopo l’ipoteca lanciata sul pontificato di Ratzinger (il quale peraltro li ha spiazzati con la sua rinuncia), temono il peggio. “Invece questo è ciò che dobbiamo accogliere docilmente come novità dello Spirito, non irrigidendoci su modelli che nel passato hanno giocato un ruolo importante ma che da almeno un secolo meritano di essere adeguatamente e pacatamente riformati”, conclude Grillo.
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