Renzi o la rottamazione del Pd

Claudio Cerasa

L’offensiva consegnata ieri da Matteo Renzi al Corriere della Sera, con la bocciatura della strategia “umiliante” scelta da Bersani per tentare di formare un governo andando a rincorrere quegli stessi grillini che quotidianamente si rivolgono al segretario proponendo varie sfumature del famoso gesto dell’ombrello, ha riportato al centro della scena una questione cruciale legata a una domanda che da giorni gira nell’universo Pd: che diavolo di piano ha il sindaco di Firenze? La prima risposta pigra che si potrebbe dare a questa domanda è che in realtà Renzi non ha un piano e che semplicemente ogni tanto non riesce a trattenersi e con i cronisti si lascia un po’ andare. C’è del vero ma non è tutto.

    L’offensiva consegnata ieri da Matteo Renzi al Corriere della Sera, con la bocciatura della strategia “umiliante” scelta da Bersani per tentare di formare un governo andando a rincorrere quegli stessi grillini che quotidianamente si rivolgono al segretario proponendo varie sfumature del famoso gesto dell’ombrello, ha riportato al centro della scena una questione cruciale legata a una domanda che da giorni gira nell’universo Pd: che diavolo di piano ha il sindaco di Firenze? La prima risposta pigra che si potrebbe dare a questa domanda è che in realtà Renzi non ha un piano e che semplicemente ogni tanto non riesce a trattenersi e con i cronisti si lascia un po’ andare. C’è del vero ma non è tutto. Un piano Renzi ce l’ha, eccome, ed è quello di tornare non troppo tardi alle elezioni per riscendere in campo dopo essersi fatto legittimare da nuove primarie. Giugno o luglio o ottobre o febbraio poco cambia: Renzi vuole solo farsi trovare pronto, senza farsi “cooptare”, quando e se la situazione precipiterà. Questo il piano A. Esiste altro? Esiste quel piano B di cui si parla e di cui ieri ha dato conto sul Giornale Fabrizio Rondolino? In altre parole: esiste la possibilità che Renzi decida di portare altrove la sua rottamazione trasformando la sua “rupture” in una definitiva rottura con il Pd? La risposta è “no”; ma è una risposta che va motivata spiegando la ragione per cui il sindaco sostiene che lo scenario del rottamatore che lascia e corre da solo non è all’ordine del giorno, e semplicemente non c’è.

    Da una parte ci sono questioni di carattere culturale, perché Renzi è da sempre convinto che l’Italia abbia bisogno di un bipolarismo maturo, con due grandi schieramenti che si contendono il bottino, e perché il sindaco è da sempre convinto che chi vuole sfidare il bipolarismo sia destinato a fare la fine dei Rutelli, dei Fini, dei Monti, dei Dini e dei Casini. Dall’altra parte però ci sono anche questioni di opportunità. Nell’universo del Rottamatore è vero che nel recente passato c’è stato qualcuno che ha suggerito di mollare il Pd e di fare una cosa propria (sono gli stessi che alle ultime elezioni hanno proposto al sindaco di fare una sua lista da collegare a quella del Pd al Senato). Ed è vero che lo scorso anno a un certo punto Renzi, venuto a conoscenza delle regole per le primarie, ha pensato per un attimo di cambiare aria. Oggi però lo scenario è diverso e il piano B è stato rottamato. Naturalmente tutto cambierebbe qualora dovessero esserci elezioni e Bersani dovesse ricandidarsi senza passare per le primarie, ma in cuor suo Renzi è sicuro che le primarie ci saranno e che male che andranno le cose, e se non ci sarà tempo di allestire gazebo, sarà lui, senza discussioni, il candidato del centrosinistra. Una volta escluso che Renzi abbia intenzione d’uscire dal Pd bisogna capire invece se esistono possibilità che un pezzo di Pd decida di uscire se dovesse arrivare Renzi alla guida del centrosinistra. Qui le cose sono più complicate, e per capirne il motivo bisogna andare a studiare il nuovo capitolo aperto dal sindaco per scalare il Pd: la rottamazione dell’apparato.

    Negli ultimi tempi, lo avrete notato, Renzi ha fatto capire in ogni modo di voler azzerare la vecchia nomenclatura del Partito democratico. E tra dossier sui costi del Pd e proposte di legge per abolire il finanziamento pubblico si può dire che il sindaco sia visto davvero da una parte della classe dirigente dem con la stessa diffidenza con cui nella chiesa verrebbe osservato un vescovo che si candida a fare il capo della Cei chiedendo l’abolizione dell’otto per mille. Il problema della digeribilità del Rottamatore all’interno del partito esiste (ed è anche per questo che Renzi ragiona sulla possibilità di proporre a Fabrizio Barca un ticket, con il ministro alla guida del partito e il sindaco alla guida del centrosinistra). Ma dire che il Pd esploderebbe nel caso in cui Renzi dovesse arrivare al timone del centrosinistra è un errore da matita blu. Nelle ultime settimane gli equilibri sono cambiati e nel Pd, tranne qualche bersaniano di ferro, è ormai diffusa l’idea che Renzi sia l’unico possibile e futuro salvatore della baracca. Tutti i vecchi colonnelli del Pd, seppur con sfumature diverse, si sono infatti allontanati da Bersani; gran parte dei segretari regionali del partito (chiedete a Stefano Bonacini, capo dei democratici dell’Emilia Romagna) ha da tempo aperto un dialogo con Graziano Delrio (il Gianni Letta di Renzi); e persino i giovani turchi, la corrente più gagliardamente anti renziana del Pd, sono divisi tra chi (fassiniani) non intende far parte di una coalizione guidata da Renzi e tra chi (orfiniani) intende aprire una trattativa con il Rottamatore (tu guidi la coalizione, noi guidiamo il partito). Questa dunque la situazione.

    E nonostante la comprensibile insofferenza dei Nico Stumpo e dell’apparato stipendiato dal partito la verità è che il Pd a poco a poco si sta spostando verso il Rottamatore. E se il piano B non esiste è anche perché ormai nel Pd a spingere sul piano A (Renzi candidato) sono davvero quasi tutti. Anche i più impensabili. Anche, per dire, quelli che fino a poco tempo fa accusavano Renzi di essere lo “sfascista” che voleva uccidere il Pd, e che invece oggi, lì sotto i baffi, non aspettano altro che dare una mano al giovane sindaco per accelerare i tempi e rottamare definitivamente il “non risolutivo” segretario del Pd.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.