Verso una nuova direzione

Problemi di Unità. Così Bersani scopre il fronte degli ammutinati del Pd

Claudio Cerasa

Al di là delle questioni di merito, le mitragliate partite ieri dal fortino renziano contro il direttore dell’Unità Claudio Sardo, colpevole secondo i rottamatori di avere scritto falsità sul presunto “no di Renzi a un governo Bersani”, dimostrano che i sostenitori del sindaco si sono convinti che nel centrosinistra ci sono le condizioni per dar vita a una nuova fase politica. In questo senso, la polemica sul titolo scelto dall’Unità per aprire il giornale di ieri (i renziani rivendicano il fatto che il sindaco non ha mai detto che non vuole un governo Bersani) rientra all’interno dell’operazione “rottamare il vecchio apparato Pd” e in un certo modo nasce da una consapevolezza di cui si sono persuasi i sostenitori del Rottamatore: nel Pd sono cambiati gli equilibri e i tempi per imporre un cambio di passo sono maturi.

    Al di là delle questioni di merito, le mitragliate partite ieri dal fortino renziano contro il direttore dell’Unità Claudio Sardo, colpevole secondo i rottamatori di avere scritto falsità sul presunto “no di Renzi a un governo Bersani”, dimostrano che i sostenitori del sindaco si sono convinti che nel centrosinistra ci sono le condizioni per dar vita a una nuova fase politica. In questo senso, la polemica sul titolo scelto dall’Unità per aprire il giornale di ieri (i renziani rivendicano il fatto che il sindaco non ha mai detto che non vuole un governo Bersani) rientra all’interno dell’operazione “rottamare il vecchio apparato Pd” e in un certo modo nasce da una consapevolezza di cui si sono persuasi i sostenitori del Rottamatore: nel Pd sono cambiati gli equilibri e i tempi per imporre un cambio di passo sono maturi. Polemiche sull’Unità a parte, la convinzione che il fronte bersaniano sia più facilmente perforabile rispetto a qualche tempo fa deriva non solo da un eccesso di presunzione dell’universo renziano ma anche da un dato difficilmente contestabile. Negli ultimi tempi, infatti, nonostante Bersani abbia ancora tecnicamente la possibilità di formare un governo dopo l’elezione del presidente della Repubblica, all’interno del Pd si è venuta a creare una situazione anomala che dai più perfidi viene descritta come se fosse una sorta di ammutinamento silenzioso diabolicamente mascherato. In altre parole, mentre Bersani tenta disperatamente di rincorrere Grillo senza far perdere la rotta al traballante galeone del Pd i vecchi ammiragli hanno cominciato da tempo a voltare le spalle al segretario. E il risultato è che gli unici che impugnano gli scudi per difendere il timoniere dalle cannonate renziane sono ormai soltanto i bersaniani più stretti: da un lato quelli della famiglia emiliana (Vasco Errani, Maurizio Migliavacca) dall’altro i campioni dell’apparato (Davide Zoggia, Nico Stumpo, Stefano Fassina). E gli altri? Gli altri fischiettano, fanno finta di niente, evitano di criticare Renzi quando attacca il segretario e si preparano al dopo Bersani. Tutti. Da Veltroni a Letta. Da Franceschini a Bindi. Da Zingaretti (furioso) fino a D’Alema. D’Alema, già: e questa è una storia tutta da raccontare.

    Tra i vecchi ammiragli da sempre vicini al segretario del Pd non è un mistero che Massimo D’Alema sia stato il primo a criticare in modo aperto la linea scelta da Bersani per affrontare la tempesta post elettorale. L’ex presidente del Consiglio ha consegnato la sua accusa un mese fa alla direzione del Pd e, dopo essere stato sonoramente deriso per aver ricordato che l’unica strada possibile per salvare la legislatura era quella di trovare un accordo con il centrodestra, ha visto aumentare di ora in ora il fronte dei “non allineati” alla linea del segretario e si è ritrovato improvvisamente a condividere una posizione identica a quella di Renzi: o si governa con l’aiuto di Berlusconi oppure un esecutivo è impossibile farlo. Solo una coincidenza o dietro le impreviste convergenze tra Renzi e D’Alema c’è qualcosa di più? Forse c’è qualcosa di più. L’ex presidente del Consiglio condivide con il Rottamatore l’idea che “con Bersani non si va più da nessuna parte” e in prospettiva, pur non avendo mai amato Renzi (a novembre gli diede dello “sfascista”), ai suoi interlocutori ha confessato che in caso di elezioni improvvise il sindaco potrebbe essere l’unico in grado di garantire la tenuta del centrosinistra. D’Alema su questo non si esprime a voce alta ma a testimoniare che nel Pd sta maturando una sorta di corrente di renziani con i baffi ci sono alcuni indizi. Il primo è quello offerto ieri dal post dalemiano Matteo Orfini, che in un’intervista al Manifesto ha riconosciuto, facendo autocritica, che il Pd deve smetterla di demonizzare Renzi. Il secondo è quello che ci offre un dalemiano del Pd (con simpatie vendoliane) come Nicola Latorre, da sempre sostenitore di Bersani e sorprendentemente oggi solidale con il giovane ex “sfascista”. Sentite Latorre: “Renzi in questi giorni ha avuto il merito di dare voce a un sentimento che c’è nel nostro popolo ed è corretto dire che, a partire dall’elezione del prossimo presidente della Repubblica, senza una ampia e larga e bipartisan condivisione di intenti tra centrodestra e centrosinistra un governo non si può fare. E per questo è bene che il gruppo dirigente cominci a trattare con spirito costruttivo le proposte del sindaco. Quanto agli scenari futuri è ovvio che tutti tifiamo per un successo di Bersani. Ma d’altra parte è ovvio che se dovessero esserci le elezioni tutto il partito dovrebbe evitare di lacerarsi e dovrebbe provare a cercare una candidatura forte. E quella di Renzi è una delle ipotesi forti e credibili in campo”.

    Questa dunque la situazione. Con il timoniere sempre più solo e con i vecchi ammiragli pronti a offrirsi presto al possibile futuro comandante. Tutto evidentemente si muove e tutto è paurosamente in bilico. E con gli equilibri cambiati si capisce che nel Pd qualcuno cominci ad aver qualche dubbio sul fatto che Bersani – che non è riuscito a garantire neppure l’unanimità alle elezioni per il capogruppo del Pd alla Camera (Roberto Speranza è stato eletto con 97 voti contrari) – sia effettivamente in grado di controllare tutte le truppe parlamentari. L’elezione del presidente della Repubblica è vicina, mancano due settimane. E chissà che in vista di quella data la nuova geografia del Pd non sia decisiva per dare al galeone una rotta diversa rispetto a quella immaginata dall’attuale timoniere.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.