Le promesse mantenute di Denis e l'imbarazzo di Puggioni
Adesso penseranno di essersi sbagliati. Di essere andati in gita a Bergamo per prendere il giocatore che non serviva. All'Inter avrebbe di sicuro fatto infinitamente più comodo la concretezza di German Denis in luogo dell'evanescente irascibilità di Ezequiel Schelotto. I segnali c'erano stati tutti, da quando l'argentino ha trovato la sua America nell'Atalanta. Come se l'avesse giurata all'Inter: ti faccio gol ogni volta che ci vediamo, con costante passo progressivo. Una rete al primo e unico incrocio della passata stagione. Due reti nell'andata dell'attuale campionato, tre nell'ultimo confronto di domenica che ha ancora una volta posto impietosamente in evidenza - se se ne fosse sentito il bisogno - i limiti strutturali e caratteriali del nerazzurro milanese.
Adesso penseranno di essersi sbagliati. Di essere andati in gita a Bergamo per prendere il giocatore che non serviva. All'Inter avrebbe di sicuro fatto infinitamente più comodo la concretezza di German Denis in luogo dell'evanescente irascibilità di Ezequiel Schelotto. I segnali c'erano stati tutti, da quando l'argentino ha trovato la sua America nell'Atalanta. Come se l'avesse giurata all'Inter: ti faccio gol ogni volta che ci vediamo, con costante passo progressivo. Una rete al primo e unico incrocio della passata stagione. Due reti nell'andata dell'attuale campionato, tre nell'ultimo confronto di domenica che ha ancora una volta posto impietosamente in evidenza - se se ne fosse sentito il bisogno - i limiti strutturali e caratteriali del nerazzurro milanese. Perché quello bergamasco, invece, se la passa benissimo. Una salvezza riconquistata a dispetto dell'ennesimo handicap in classifica, grazie a un condottiero di provincia come Stefano Colantuono in panchina e a una squadra che sarebbe piaciuta da matti a Ivan Ruggeri, l'ex presidente appena salutato dopo cinque anni di estenuante agonia. Una squadra di cui Denis è divenuto il leader naturale, parlando il linguaggio dei gol. Una scoperta per lui tardiva, alla soglia dei trent'anni, dopo stagioni di afasia, almeno in Italia. Ma, come quei bambini che partono a razzo dopo aver scoperto una novità, il centravanti devoto a Santo Espedito non si è più fermato, accelerando deciso. Sedici reti nel primo anno bergamasco, giù quindici in quello attuale, con la prospettiva di un agile miglioramento del record personale. Non più attaccante di sola potenza, da cui il soprannome El Tanque (il carrarmato), ma un giocatore completo, freddo il giusto sui rigori e abile in ogni circostanza, di piede come di testa. Uno spettacolo, poi, quando dialoga con Giacomo Bonaventura, ultima scoperta di una realtà sempre generosa quando si tratta di dare fiducia a un giovane.
Spettacolare Denis e spettacolare Antonio Di Natale, tornato a entusiasmare con un gol che aumenterà i rimpianti se veramente l'attaccante dirà basta a fine stagione. Ma prima di quel fantastico sinistro al volo, era arrivata una rete beffarda ai danni del disorientato e presuntuoso Christian Puggioni. Presuntuoso perché non si può pensare di osare un dribbling ai danni del capitano dell'Udinese se non si è portieri dai mezzi tecnici più che saldi. Il ridicolo è sempre in agguato, quando si insegue una soluzione simile. E a Puggioni è bastato farsi scivolare la palla sotto la pianta del piede, senza controllarla, per essere punito. Una beffa doppia per chi, da poco, ha finalmente ritrovato un suo posto al sole. Perché non stiamo parlando di un giovanissimo, bensì di uno che ha appena compiuto 32 anni: non troppi per un portiere, ma sempre abbastanza per iniziare a essere considerati pensionabili. Puggioni ha avuto la fortuna di ritrovare oggi quella serie A conosciuta fino a quattro anni fa con la Reggina. Era andato al Chievo per provarci, convinto che la scorsa estate Stefano Sorrentino sarebbe finalmente andato via da Verona. Ha dovuto aspettare fino a gennaio di quest'anno, guadagnando comunque la fiducia della società, che aveva cessato di inseguire alternative una volta convintasi di poter sostituire chi era stato ceduto al Palermo con quanto c'era in casa. Una scelta parsa subito indovinata: un onesto professionista per una squadra che aveva come unico obiettivo la sopravvivenza in serie A. Fino a Udine. Fino alla tentata botta di vita al cospetto di Totò Di Natale, di suo cattivo come un "bastardo venuto dar sud", primo album di quel Franco Califano che l'attaccante ha ricordato con l'abituale maglietta celebrativa. Beffardo di fronte all'ingenuità altrui, senza alcuna pietà per il povero Puggioni.
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