Quirinale anti moralizzatori

Così Bersani scopre che il governo nasce solo da un patto con il Caimano

Claudio Cerasa

Sbandata o sterzata? Sull’insidiosissimo percorso che separa Pier Luigi Bersani dall’elezione del presidente della Repubblica si è materializzata improvvisamente una biforcazione che sta costringendo il centrosinistra a fare i conti con una scelta  decisiva per capire il destino del prossimo governo. La scelta riguarda un problema che Bersani era convinto di poter aggirare portando a termine l’operazione “scouting grillino” lanciata tempo fa dal segretario per dividere il fronte del 5 stelle e provare a conquistare quei nove senatori che mancano all’appello al centrosinistra per avere una maggioranza a Palazzo Madama.

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    Sbandata o sterzata? Sull’insidiosissimo percorso che separa Pier Luigi Bersani dall’elezione del presidente della Repubblica si è materializzata improvvisamente una biforcazione che sta costringendo il centrosinistra a fare i conti con una scelta  decisiva per capire il destino del prossimo governo. La scelta riguarda un problema che Bersani era convinto di poter aggirare portando a termine l’operazione “scouting grillino” lanciata tempo fa dal segretario per dividere il fronte del 5 stelle e provare a conquistare quei nove senatori che mancano all’appello al centrosinistra per avere una maggioranza a Palazzo Madama. Una volta certificato da Giorgio Napolitano che il tentativo portato avanti da Bersani per dividere il fronte grillino “non è stato risolutivo” (e anche ieri il presidente ha spinto ancora una volta verso le larghe intese chiedendo indirettamente a Bersani di prendere le distanze dai “finti moralizzatori” e avere “più coraggio” per un nuovo compromesso storico), è risultato chiaro anche nel Pd che l’unico modo possibile per far partire un governo passa da una drammatica quanto forse inevitabile legittimazione del Caimano. Nell’ultima settimana sono stati molti gli esponenti del Pd ad aver segnalato la necessità di imprimere alla navigazione un indirizzo diverso rispetto a quello stabilito a marzo in direzione, quando Bersani disse che non sarebbe stato accettabile fare un esecutivo con l’aiuto di “uno che quattro mesi prima delle elezioni se ne va e comincia a sparare a zero sulla realtà che lui ha provocato”, ovvero Berlusconi. Ora che però, come certificato anche da Franceschini, “è chiusa la possibilità di un rapporto con Grillo”, nonostante le capriole linguistiche adottate per mascherare l’“inciucio” col Caimano e per rassicurare il fronte sinistro della coalizione, anche Bersani ha compreso che la strada da imboccare per non sbattere contro le elezioni è quella di un’intesa con il Cav. E così, al netto dei “no al governissimo” ripetuti dal segretario, l’impressione nel Pd è che Bersani si stia convincendo a percorrere la strada dell’accordo mascherato. E in questo senso gli indizi lasciati sul terreno dal Pd in vista del rinnovo del Quirinale appiaono inequivocabili: e tutto sembrano tranne una semplice sbandata.

    Il film della nuova e inconfessabile direzione imboccata dal Pd – film che avrà un suo passaggio chiave nel momento in cui Bersani e Berlusconi decideranno di incontrarsi, e ieri il Cav. al Tg4 ha dato segnali di disponibilità – comincia nell’istante in cui Enrico Letta esce dalla stanza di Napolitano (22 marzo) annunciando che il Pd non si sarebbe più limitato ad ascoltare soltanto le indicazioni del presidente ma avrebbe assicurato il suo totale “supporto responsabile alle decisioni del Quirinale”. Da quel giorno in poi nel Pd ha cominciato a prendere forma il “partito di Napolitano” (Renzi, Veltroni, Franceschini, D’Alema) e la linea espressa dal vicesegretario, quella del no elezioni, sì al dialogo con il Pdl, sì a una condivisione ampia per il Quirinale, si è imposta come nuova linea, al punto da aver insospettito la gauche del centrosinistra (“al golpe al golpe!”) rimasta romanticamente a quel “mai con Berlusconi” scandito da Bersani durante la direzione di marzo. Il secondo fotogramma del film sulla riconversione della linea Pd passa per l’incontro avuto la scorsa settimana da Bersani a Palazzo Chigi con Monti, quando di fronte al paletto posto dal leader di Scelta civica rispetto alla possibilità che i montiani offrano i propri numeri per eleggere il prossimo presidente della Repubblica (“il profilo non deve essere divisivo e deve avere caratteristiche diverse da quelle di Prodi”), il segretario ha detto di “sì”: certificando la sua intenzione di andare a pescare lontano da Grillo i voti per eleggere il successore di Napolitano (anche se poi alla fine Bersani potrebbe puntare su un nome alla Grasso per tentare di dividere i grillini). Indizi a parte, la certificazione che il futuro del Pd passa per una drammatica e forse inevitabile legittimazione del Caimano è testimoniata anche dal finale che il centrosinistra immagina per il film sul governo Bersani. E nonostante la fantasia mostrata dai collaboratori del segretario nell’immaginare che il prossimo presidente della Repubblica possa autorizzare Bersani ad andare alle Camere facendo partire, grazie al non impedimento del centrodestra, un esecutivo sul modello governo di minoranza Andreotti 1976 (modello evocato ieri da Napolitano, anche se in quel periodo il Pci diede il suo appoggio esterno al governo perché costretto da “delicati problemi di politica internazionale”, come ricordato da Aldo Moro nel 1978), la verità è che nel Pd tutti sanno che anche questo passaggio non sarà gratuito ma avverrà solo se Bersani riuscirà ad avvicinarsi senza farsi mordere dal Caimano – e chissà se il Caimano si accontenterà solo di un accordo sul Quirinale. Bersani lo sa. Il Pd lo sa. Il Pdl lo sa. La strada è stretta, ma al di là del tatticismo la direzione oggi è questa (e prescinde dal volto di Bersani). E anche se la lettera a Repubblica ha complicato le trattative il punto non cambia e a dieci giorni dalle votazioni per la presidenza della Repubblica si può dire che nel centrosinistra c’è una nuova drammatica consapevolezza: si potranno fare tutte le manifestazioni contro la povertà del mondo ma alla fine dei conti non nascerà nessun governo a guida Pd se lo smacchiatore dei giaguari non avrà accontentato proprio lui, il giaguaro brutto e cattivo.

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    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.