I rischi del “grande distacco” tra economia reale e mercati. F.to Brookings
I mercati europei “brillano” della luce riflessa irradiata dalle iperespansive Banche centrali di Giappone e Stati Uniti. Tokyo da giovedì scorso ha cominciato a imitare Washington con un aggressivo “Quantitative easing” (l’iniezione di liquidità, tramite l’acquisto di vari asset, per tentare di rianimare un moribondo ciclo economico). Difficile dire quanto durerà l’effetto rimorchio. Ieri le Borse europee hanno chiuso in rialzo (Milano: più 3,19 per cento) e il differenziale tra i titoli decennali italiani e quelli tedeschi è sceso a 300 punti base (livelli visti due mesi fa), mentre i tassi dei Bot sono al minimo storico.
I mercati europei “brillano” della luce riflessa irradiata dalle iperespansive Banche centrali di Giappone e Stati Uniti. Tokyo da giovedì scorso ha cominciato a imitare Washington con un aggressivo “Quantitative easing” (l’iniezione di liquidità, tramite l’acquisto di vari asset, per tentare di rianimare un moribondo ciclo economico). Difficile dire quanto durerà l’effetto rimorchio. Ieri le Borse europee hanno chiuso in rialzo (Milano: più 3,19 per cento) e il differenziale tra i titoli decennali italiani e quelli tedeschi è sceso a 300 punti base (livelli visti due mesi fa), mentre i tassi dei Bot sono al minimo storico. Questo nonostante l’avvertimento lanciato in mattinata dalla Commissione europea sul “contagio” per l’Europa derivante dalla crisi politica, bancaria, fiscale e competitiva italiana e il concomitante crollo della produzione industriale spagnola (calata del 6,9 per cento a febbraio su gennaio) che prosegue dall’agosto 2011. L’economia è depressa, le Borse salgono e lo spread s’abbassa. Perché questo “scollamento” tra la realtà e i mercati? Uno dei primi a notarlo è stato Kemal Dervis, ex ministro dell’Economia turco, già funzionario delle Nazioni Unite e vicepresidente della Brookings Institution, influente think tank americano. Dervis spiega al Foglio i motivi, gli sviluppi e le conseguenze economico-sociali del “grande distacco”, come l’ha definito.
Due cause. La prima è la liquidità immessa dalle maggiori Banche centrali del mondo, “necessaria visto lo stato critico dell’economia” ma che “prepara il terreno per future bolle finanziarie”. “Le Banche sono costrette a farlo, non è sbagliato, ma c’è un effetto collaterale”, precisa Dervis. La seconda causa del “distacco” è invece “strutturale”: “Lo spostamento della ricchezza da lavoratori e classe media verso soggetti più facoltosi è un flusso che avviene per varie ragioni (divario tecnologico, commercio, politiche fiscali), e che si sta verificando negli Stati Uniti, in Europa e in Cina”, paese che è stato declassato dall’agenzia di rating Fitch per l’esplosione dei debiti degli enti locali e l’eccessiva erogazione di credito in un sistema bancario opaco. Questa spaccatura nell’economia spinge i capitalisti a preferire investimenti finanziari anziché industriali: “Non sono sicuri che ci sia abbastanza domanda nell’economia reale da giustificare l’investimento dei loro profitti”, dice Dervis. In Borsa ciò si traduce in un afflusso ingente di liquidità verso imprese “che non lo meriterebbero”, società di grandi dimensioni ma decotte, “penalizzando altre più meritevoli”. Che effetti ha il “distacco” sulla società? Per Dervis è una deriva che interessa tutti, senza distinzione di reddito. Il primo rischio è uno stallo economico: “A meno che non cresca la domanda e che la maggiore parte delle persone non incrementi il proprio reddito, nel lungo termine ci troveremo in un circolo vizioso: zero ottimismo, pochi investimenti, poche vendite. Interrompere la spirale significa investire i profitti nella produzione industriale delle economie avanzate, non solo di quelle emergenti”, dice Dervis. Si stanno inoltre creando i presupposti per un “distacco” sociale che sfocerà in un “conflitto” tra popolazione ed establishment. “In parte sta succedendo in Europa. Il risultato delle elezioni politiche italiane ne è un esempio. Le persone stanno affrontando circostanze molto difficili e, nel frattempo, chi ha grandi disponibilità economiche non sembra avere alcun problema. Risulta quindi difficile giustificare molti sacrifici per molti quando ai ‘vertici’ i sacrifici sembrano pochi”.
La soluzione? “Dev’essere coordinata a livello europeo e mondiale, non risolta paese per paese”. Il fatto che in un dato paese un’impresa multinazionale paghi poche tasse e in un altro molte di più rende l’ambiente economico, in particolare quello europeo, eccessivamente competitivo: “E’ un grosso problema per i governi e indica la necessità di più cooperazione internazionale per raggiungere un grado maggiore di equità e armonizzazione fiscale”, conclude Dervis da Washington.
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