Quirinabili, guida alla diffidenza

Alessandro Giuli

Le donne al Quirinale, certo, meglio ancora se Emma Bonino (altrimenti Pannella chi lo trattiene più dalle sue devastazioni) o Laura Boldrini, in omaggio all’umanitarismo apolide dallo sguardo equoreo; ma ci sono pure le ministre Paola Severino e Annamaria Cancellieri, la post comunista Anna Finocchiaro e chissà chi altre. Quanto agli uomini, ai quirinabili emeriti o a quelli per vocazione, per concessione d’una seconda possibilità, per calcolo strategico, per volontà di pacificazione nazionale o per diritto alla vendetta di parte, per meriti o demeriti artistici, per plebiscito presuntivo o per mancanza di alternative: a volerne qui censire nomi e cognomi si finirebbe nelle pagine interne, e non è il caso.

    Le donne al Quirinale, certo, meglio ancora se Emma Bonino (altrimenti Pannella chi lo trattiene più dalle sue devastazioni) o Laura Boldrini, in omaggio all’umanitarismo apolide dallo sguardo equoreo; ma ci sono pure le ministre Paola Severino e Annamaria Cancellieri, la post comunista Anna Finocchiaro e chissà chi altre. Quanto agli uomini, ai quirinabili emeriti o a quelli per vocazione, per concessione d’una seconda possibilità, per calcolo strategico, per volontà di pacificazione nazionale o per diritto alla vendetta di parte, per meriti o demeriti artistici, per plebiscito presuntivo o per mancanza di alternative: a volerne qui censire nomi e cognomi si finirebbe nelle pagine interne, e non è il caso. Allora chiediamoci se abbia un senso proseguire nell’inventario delle principali e delle subordinate che fanno e faranno da sfondo all’estenuante “totonomi” di questi e sopra tutto dei prossimi dieci giorni. I giornali bisogna riempirli, siamo d’accordo, l’inclinazione al gioco è un istinto innegabile della natura umana, la scommessa piace e anima i conversarii di ogni latitudine e gradazione. L’essenziale è conoscerne le regole. E la regola principale, quando si tratta d’individuare il profilo più verosimile del prossimo presidente della Repubblica, è che ogni nome è di per sé credibile e dunque non lo è nessuno.

    Non bisogna fidarsi dei giornali e nemmeno di se stessi, ma accogliere con la virtù dei forti e con bronzea diffidenza la grandinata primaverile delle biografie quirinabili. Il problema sarebbe forse risolto se la presidenza della Repubblica fosse contendibile apertamente, sulla base di programmi precisi e di mandati popolari certificati, ma così non è: il voto parlamentare è affidato al segreto dell’urna e più segreto ancora è il percorso serpentino che lo precede. Da quest’anno, grazie al caso di Matteo Renzi in Toscana, anche la nomina dei grandi elettori regionali è entrata di prepotenza nel teatro del retroscenismo politico, aggiungendo confusione e retropensieri a un serbatoio già ricolmo di sviamenti causati dall’urgenza di formare pure un governo.

    Altra contraddizione, nella misteriosa procedura d’elezione quirinalizia, è questa: si sa che il nome del prescelto sarà frutto dei magheggi praticati dalle nomenclature di vertice e tradotti nella disciplina di voto dei comuni parlamentari; ma in teoria le Camere riunite potrebbero eleggere il nostro edicolante sotto casa, ogni cittadino italiano essendo titolato a rappresentare la Patria se così decida il Parlamento. Il che, se in condizioni normali produce ogni sette anni una quota di schede elettorali atipiche (chessò, Francesco Totti presidente), nell’epoca della democrazia internettiana e dell’assemblearismo a cinque stelle sta moltiplicando la promozione indifferenziata dalla rete al Quirinale (modello “Benvenuto, presidente”, il film con Claudio Bisio nelle vesti di un quisque de populo appena quirinalizzato).
    Sicché non resta che credere a tutto, cioè a niente, come in un vecchio detto arabo: i cani abbaiano, la carovana passa.