Roma, Firenze, Venezia. Ovvero come la politica può far male all'arte
Da un libro come “Le pietre e il popolo” di Tomaso Montanari (minimum fax, 164 pp., euro 12) si imparano molte cose. Alcune ci vengono dette nel modo più chiaro, documentato e indignato dallo stesso autore, quarantenne storico dell’arte, autore di libri e pamphlet, collaboratore del Fatto e del Corriere della Sera. La prima cosa che si impara, la più generale, è che il “valore civico” di tutto ciò che c’è nelle nostre meravigliose città d’arte viene oggi sempre più sottratto alla comunità per essere trasformato in proprietà privata gestita per fini di lucro. Le città italiane sono ridotte progressivamente a luna park. Il bene comune diventa dominio privato e merce.
Da un libro come “Le pietre e il popolo” di Tomaso Montanari (minimum fax, 164 pp., euro 12) si imparano molte cose. Alcune ci vengono dette nel modo più chiaro, documentato e indignato dallo stesso autore, quarantenne storico dell’arte, autore di libri e pamphlet, collaboratore del Fatto e del Corriere della Sera.
La prima cosa che si impara, la più generale, è che il “valore civico” di tutto ciò che c’è nelle nostre meravigliose città d’arte viene oggi sempre più sottratto alla comunità per essere trasformato in proprietà privata gestita per fini di lucro. Le città italiane sono ridotte progressivamente a luna park. Il bene comune diventa dominio privato e merce. Il diritto si trasforma in lusso. I cittadini sono trattati come clienti e consumatori. Il patrimonio storico e artistico non serve più a produrre cultura e cittadinanza, secondo le promesse della Costituzione, ma a fare soldi.
E a questo punto sarà il caso di ricordare ciò che Montanari ci dice su quanto è successo e succede a Siena, Milano, Roma, Napoli, Venezia, L’Aquila e soprattutto Firenze, con il suo sindaco Matteo Renzi, al quale è dedicata più della metà del libro.
A Siena, l’antico ospedale Santa Maria della Scala, monumento di rilievo internazionale, colmo di preziose opere, che critici d’arte come Cesare Brandi e Giovanni Previtali avevano previsto di trasformare nel Museo di Siena per eccellenza, è oggi “divenuto uno scatolone per eventi e mostre” (alcune buone, altre pessime) ed è una fondazione sotto il controllo del comune. “Ora che il comune è commissariato, l’università è semifallita, e soprattutto il Monte dei Paschi di Siena è sprofondato in un baratro finanziario, l’acropoli di Siena rischia di diventare la simbolica tomba dell’idea di cultura come bene comune”.
A Milano, si è occupato della Pinacoteca di Brera il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera nel suo decreto del 26 giugno 2012, che all’articolo 8 prevede per il 2013 di costituire la Fondazione di diritto privato “La Grande Brera” che attuerà una “gestione secondo criteri di efficienza economica”. Solo la fine del governo Monti “ha bloccato per ora il primo grande passo verso la privatizzazione di uno dei principali musei italiani. Un passo sulla cui costituzionalità ci sarebbe molto da dire”. Le iniziative della fondazione non saranno infatti orientate dalla scienza ma dal marketing.
A Roma, scrive Montanari, si fanno “mostre che non hanno nulla – ma davvero nulla – a che fare, non dico con la ricerca scientifica degli storici dell’arte seri, ma nemmeno con un buon progetto di divulgazione”: vedi la mostra “Roma al tempo di Caravaggio” messa insieme togliendo dagli altari opere sacre per essere esibite a Palazzo Venezia “rimontate su finti altari di finto marmo”. Per non parlare del Maxxi, il cui commissariamento ha permesso di espellere un onesto funzionario per sostituirlo “con una baby-pensionata di lusso del parco politico veltroniano”, Giovanna Melandri, nota per essere entrata per la prima volta agli Uffizi quando diventò ministro dei Beni culturali nel 1998 con il governo D’Alema.
A Napoli, alla biblioteca Girolamini, il direttore Marino Massimo De Caro si occupava di trafugare i volumi più pregiati per destinarli al commercio antiquario internazionale.
A Venezia, c’è stata la minaccia dello stilista Pierre Cardin che ha avuto l’idea (per ora idea) di costruire a Marghera un Palais Lumière, una torre di 250 metri (due volte e mezza il campanile di San Marco), mentre il ponte di Calatrava, maledetto da ogni viaggiatore che esca dalla stazione ferroviaria, mostra quanto poco gli architetti “geniali” siano in grado di capire la praticabilità fisica di ciò che progettano. Il sindaco Cacciari, filosofo infatuato di metafisica, se n’è mai accorto?
Infine, Firenze. Qui il discorso di Montanari su Matteo Renzi diventa pericoloso per l’attuale interesse politico della Nazione, perché potrebbe scoraggiare perfino i più convinti sostenitori del sindaco fiorentino. Se il futuro del centrosinistra è nelle mani di Renzi, bisognerà pure, prima o poi, in qualche modo, capire qual è la sua Weltanschauung di politico amministratore. Come ho detto, a Renzi vengono dedicate circa 90 pagine su 160. Cito perciò un solo esempio. Sarebbe in atto una privatizzazione progressiva degli Uffizi. Ma “se gli Uffizi diventano una location dove ostentare e celebrare l’onnipotenza del lusso, la diseguaglianza sociale ed economica e il trionfo del denaro di pochi (…) ebbene la Repubblica italiana perde uno strumento potentissimo di educazione e di eguaglianza, che mantiene a caro prezzo con i soldi di tutti”.
Dopo aver imparato o ricordato, grazie a Montanari, molti casi particolari riuniti in un generale fenomeno allarmante, ricordo anche un paio di miei antichi dubbi. Il primo riguarda il destino del nostro abnorme patrimonio storico-artistico, il secondo dubbio contempla il rapporto che il nostro “popolo” ha oggi con le “pietre” del passato.
Ce la farà, potrà mai farcela lo stato italiano a coprire le spese necessarie per salvaguardare, conservare, restaurare, curare, i monumenti, le chiese, i palazzi, i musei, le pinacoteche, le biblioteche, i teatri e i paesaggi che rendono unica al mondo la nostra penisola così bella, ma così umiliata e afflitta dalle sventure politiche? In ragioneria non sono forte e mi mancano troppi dati per fare valutazioni. Ma tendo a credere che un paese come il nostro dovrebbe sensatamente e accortamente, con prudenza e controllo, chiedere aiuto a chiunque, in Italia, in Europa, in America, possa aiutarci a investire ricchezze per proteggere e onorare la bellezza. Più che vedere uno stato privatizzare il patrimonio di cultura della nazione, sarebbe bello vedere la ricchezza privata dare una mano all’interesse pubblico e al bene comune.
Secondo dubbio. Un titolo suggestivo come quello usato da Montanari, che cita un verso di Franco Fortini del 1939, fa pensare a quali siano l’attenzione e l’amore che il popolo italiano attualmente, per carattere, per tradizione, ha con le nobili pietre monumentali in mezzo alle quali vive. Su questo punto, più che essere pessimisti, dobbiamo aprire gli occhi. Dobbiamo constatare che non è un caso se lasciamo andare in malora i tesori del nostro lungo passato. Sogniamo sempre di essere moderni, senza riuscirci. Il nostro passato ci interessa poco. Non lo sentiamo nostro. Non è nostro. Soffriamo di alienazione storica per eccesso di storia, una storia per lo più ignorata o dimenticata. Il nostro deficit di civismo viene da lontano e qualcuno arriva a pensare che sia incurabile.
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