Grillo e i Quir-inabili
Che il metodo di elezione del nostro presidente della Repubblica come previsto dalla Costituzione sia uno dei peggiori al mondo è stato già detto: la regola è che del nome del possibile capo dello stato non si discute mai apertamente, non c’è una sede politica, civile e costituzionale per presentare di fronte alla nazione, nei suoi veri termini politici, la scelta della persona che per sette anni eserciterà un potere insieme immenso e sfuggente. Difficile fare peggio, eppure Beppe Grillo con le Quirinarie ci è riuscito. Lanciate come grande piattaforma di democrazia diretta, le Quirinarie consistevano nel votare il proprio presidente della Repubblica preferito (pescando da una rosa data) sul blog del leader del M5s.
Che il metodo di elezione del nostro presidente della Repubblica come previsto dalla Costituzione sia uno dei peggiori al mondo è stato già detto: la regola è che del nome del possibile capo dello stato non si discute mai apertamente, non c’è una sede politica, civile e costituzionale per presentare di fronte alla nazione, nei suoi veri termini politici, la scelta della persona che per sette anni eserciterà un potere insieme immenso e sfuggente. Difficile fare peggio, eppure Beppe Grillo con le Quirinarie ci è riuscito. Lanciate come grande piattaforma di democrazia diretta, le Quirinarie consistevano nel votare il proprio presidente della Repubblica preferito (pescando da una rosa data) sul blog del leader del M5s. Come spesso accade con il comico genovese, però, la sbandierata libertà di partecipazione aveva i suoi limiti: il popolo connesso poteva votare liberamente solo se iscritto al Movimento da più di tre mesi. Lanciato con tanto di hashtag su Twitter, #iovotoilmiopresidente, il referendum grillino si è trasformato nella sua nemesi: alcuni non precisati pirati informatici avrebbero attaccato il sistema del visionario Casaleggio, tanto da obbligare Grillo ad annullare il voto di giovedì e a ripeterlo ieri, con tanto di hashtag aggiornato, #iorivotoilmiopresidente. Schiavi del mito della trasparenza, i grillini hanno dovuto pubblicare online un confuso documento di un ente, la Dnv Business Assurance, che certificava l’attacco hacker. A volerne sapere di più ci si perdeva in spiegazioni a metà strada tra il complottismo (“attacco su scala mondiale”, ha detto un grillino) e la supercazzola. Il tutto per nascondere il fatto che probabilmente il sito non ha retto troppi visitatori contemporaneamente e il sistema permetteva alla stessa persona di votare più volte.
La democrazia dalla rete ha subìto così il secondo intoppo dopo il magro risultato delle elezioni online che portarono ai nomi dei candidati per le elezioni politiche (oggi siede in Parlamento gente che ha ricevuto poche centinaia di voti sul blog, più o meno come un video scadente su YouTube). Che il sistema con cui Casaleggio e Grillo vorrebbero che venisse presa qualsiasi decisione nell’Italia di domani sia hackerabile, poco trasparente e costringa chi già lo ha fatto a tornare a votare induce a rivalutare tutti gli “inciuci” con cui si sta tentando di eleggere il prossimo presidente della Repubblica. Meglio compromessi, convergenze, agguati di parte, forzature, rivalità personali, battaglie culturali e di genere che un post in cui si chiede scusa per dei misteriosi problemi tecnici. Meglio il “catafalco” nell’Aula della Camera che un computer su una scrivania. E’ molto più trasparente.
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